Latina, impero Cedis Izzi: l'asta è andata deserta, prossimo tentativo il il 21 ottobre

Latina, impero Cedis Izzi: l'asta è andata deserta, prossimo tentativo il il 21 ottobre
di Barbara Savodini
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Mercoledì 3 Agosto 2016, 10:54
FONDI - Come i creditori ma anche il sindacalista Gianfranco Cartisano avevano previsto con largo anticipo, è andata deserta l’asta dello scorso 27 luglio per la vendita, senza incanto, dell’impero della Cedis Izzi Spa. Un patrimonio da oltre 15 milioni di euro, suddiviso in 17 lotti dislocati tra le province di Latina e Frosinone. L’asta, prevista nell’ambito del concordato preventivo per saldare un debito da decine di milioni di euro, si è chiusa senza la presentazione di offerte per cui sarà riproposta il prossimo 21 ottobre. Il timore è che la sopravvalutazione e l’entità degli immobili rendano invendibile un patrimonio destinato inevitabilmente ad una rapida svalutazione. A quel punto, anche l’aggiudicazione di tutti i beni messi all’asta non basterebbe a risarcire i numerosi creditori tra i quali i 20 dipendenti della Pulynet di Sabaudia, diverse banche, grossi fornitori, Acqualatina ed Enel.

Nel territorio pontino i beni più rilevanti: il maxi capannone di via Maremmana, nella frazione industriale di San Donato a Sabaudia, il cui valore, secondo il perito incaricato, è di 10 milioni e 600 mila euro, e il palazzo di vetro al km 116,800 dell’Appia a Fondi (dove si trovavano fino a qualche anno fa gli uffici della società), valutato 4milioni e 140mila euro. In provincia di Frosinone sono stati messi all’asta invece 15 immobili in via Melfi, a Pontecorvo.

Fin da prima che fosse avviata la procedura del concordato preventivo, redatta dal famoso giudice Antonio Lollo (protagonista del più grave caso di corruzione che la provincia di Latina ricordi), in molti avevano già avanzato forti perplessità su uno strumento ritenuto pericoloso per tutti coloro che dovevano ricevere dalla Cedis Izzi grosse somme. Come noto, la società di Fondi decise di ricorrere alla strategia del concordato per evitare il fallimento in nome di una continuità aziendale che però fu aspramente criticata in quanto, secondo molti creditori, di continuativo c’era solo la partita Iva.
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