Ricco imprenditore lascia l'eredità da 80 milioni al maggiordomo
I parenti: quel testamento è stato falsificato. Indaga la Procura

Da sinistra Guido Belsito e il nipote Giovanni
di Marco Cusumano
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Martedì 17 Maggio 2016, 09:23
LATINA - Un anziano imprenditore ricchissimo, un maggiordomo e quattro persone di servizio. Una villa lussuosa a Velletri, altre dimore di pregio a Cisterna e a Roma. Un'eredità di 80 milioni di euro che potrebbe essere stata "intascata" grazie a un testamento falso. I luoghi, le persone e i fatti che sono al centro di questa vicenda sembrano usciti dalle pagine di un giallo di Agatha Christie. E invece sono persone reali che vivono tra le province di Latina e Roma. Fatti sui quali adesso indaga la Procura di Velletri.

Guido Belsito è un imprenditore romano che ha vissuto a lungo tra Velletri e Cisterna di Latina, fino alla sua morte nel 2009. A cavallo tra gli anni 50 e 60 la famiglia Belsito arrivò a Roma dalla costiera amalfitana avviando affari nel settore dei tessuti e della moda. Erano gli anni del boom economico e la famiglia Belsito aveva giovani con le spalle larghe per farsi strada nel mondo dell'imprenditoria. Una parte della famiglia si spostò a Padova dove fece affari d'oro con la seta, mentre Guido Belsito costruì un impero economico legato all'atelier nel centro di Roma. Aveva un attico in via del Corso, una delle più belle ville sui castelli romani con uno sterminato parco e una piscina, ma anche altre proprietà in pieno centro tra le quali una banca a 50 metri da piazza Venezia e un bar. Un patrimonio enorme.

Guido custodiva un segreto, la sua omosessualità che all'epoca non poteva certo essere dichiarata senza problemi. Con il passare degli anni gli affari andarono avanti al meglio e il patrimonio di Belsito continuò a crescere, tra gli alti e bassi inevitabili nel mondo degli affari e della moda. Il suo socio dell'epoca, che era anche suo convivente, morì di tumore e Belsito continuò la sua attività imprenditoriale da solo.

«Ebbe altre relazioni - racconta oggi il nipote Giovanni, avvocato - ma non importanti e durature. Un cugino si avvicinò a Guido e, navigando in pessime acque, cercò di arrangiarsi facendo piccoli servizi per la manutenzione. Guido aveva 5 persone di servizio nella sua tenuta di Velletri. Negli ultimi anni ha vissuto invece a Cisterna dove aveva una grande villa ed era molto conosciuto».
 
In quel periodo ci sarebbero stati i primi tentativi di attaccare il patrimonio di Belsito. «Mio zio - racconta il nipote - per quanto molto ricco, era attento a non essere raggirato. Per ragioni di sicurezza e credo di affetto aveva preso a servizio un carabiniere, chiedendogli di lasciare l'arma e lavorare esclusivamente per lui. Il carabiniere si rese disponibile a curare la proprietà di Velletri ma non se la sentì di lasciare l'arma che per lui era una tradizione di famiglia. A questo punto furono valutati alcuni annunci su Porta Portese, pubblicati da ragazzi di bella presenza che si proponevano ad abbienti signori come compagnia».

Servizi domestici, assistenza, "compagnia", ma in alcuni casi anche rapporti personali. Difficile tracciare il confine tra l'incarico di lavoro, la prestazione a pagamento e il rapporto umano e sentimentale. In casa di Guido Belsito, alla fine, fu scelto un operaio piemontese, oggi poco più che 40enne, una sorta di "maggiordomo" tuttofare «al quale - raccontano i parenti - non parve vero di entrare in questo paradiso». 

Secondo la denuncia dettagliata presentata in Procura, uno dei cugini di Belsito, quello in difficoltà economiche, si sarebbe messo d'accordo con il maggiordomo e con altri domestici puntando al patrimonio dell'imprenditore. Un piano studiato nei dettagli e organizzato con il supporto di una commercialista che avrebbe aiutato il gruppo a far redigere un testamento olografo a Belsito, ormai malato e moribondo.

Appena un mese prima del decesso, avvenuto il 6 febbraio 2009, l'imprenditore 77enne firmò il testamento con il quale nominava erede universale proprio il maggiordomo.

«Parliamo di un patrimonio di 80 milioni di euro - racconta il nipote - ottenuto a mio avviso con una circonvenzione di incapace. Inoltre la firma, secondo una perizia, sarebbe falsa. Io non voglio nulla, non ho bisogno di soldi o proprietà. Ma so per certo che mio zio avrebbe voluto donare tutto a una fondazione per aiutare i bambini in difficoltà. E invece è stato raggirato in maniera meschina, in punto di morte». Sul caso indaga la Procura che ha aperto un fascicolo.