È bene precisare che si è trattato di un volo di rimpatrio: i due apriliani erano rimasti bloccati in Egitto da febbraio, apprendendo del diffondersi del virus sono rimasti lontani da casa e familiari, e si sono chiusi nella loro abitazione egiziana per evitare ogni contatto. Questo fino a quando sono riusciti a trovare un volo che li facesse rientrare, infondo il lockdown era terminato e la situazione stava tornando alla normalità.
«Il 4 giugno siamo rientrati su un volo che contava a bordo 130 persone, - spiegano la madre e il figlio 18enne, molto provati da quanto accaduto – con noi c’era una donna di Matera e il compagno, aveva dei sintomi strani, ma nessuno a bordo dell’aereo nelle autocertificazioni aveva dichiarato di avere avuto contatti sospetti o di poter aver contratto il covid. E invece tramite la stampa locale di Matera abbiamo appreso poi che moglie e marito si erano contagiati». Il ragazzo ha iniziato ad accusare i primi sintomi 7 giorni dopo il rimpatrio: «Ho avuto la febbre, ma circa 37.2 – ci racconta – poi problemi gastrointestinali, naso tappato, non sentivo più i sapori. Tutto molto anomalo e per questo ho subito chiesto aiuto. Ho contatto la Asl, e poi il mio medico di base. Ci siamo rinchiusi, con mia madre, in un monolocale di un’amica- spiega preoccupato – proprio per evitare contatti con altre persone. Sapevamo che poteva essere rischioso. Ma purtroppo dopo i sintomi avuti l’11 giugno, il 13 o ho contattato la guardia medica, il giorno seguente ho cercato di sollecitare la Asl, ma il tampone mi è stato fatto solo il 18 giugno».
«Siamo stati lasciati soli, ci siamo sentiti abbandonati, è brutto dirlo – racconta la madre del ragazzo che per fortuna è negativa al test - l’unico nostro sostegno, vero e forte, ci è arrivato dal medico di base, la dottoressa Michela Luongo. È’ lei che ci sta dando la forza di andare avanti. Ci chiediamo ora – spiega la 52enne – perché la Asl di Matera non abbia contattato subito tutti i presenti sull’aereo o le altre Asl, perché la nostra Asl non ci ha fornito tutta l’attenzione che meritavamo. Quando sali su un aereo ti registrano solo la temperatura, poi compili un modulo di autocertificazione e basta. Poteva davvero contagiarsi l’intero volo, il personale e molti altri passeggeri, sarebbe stata una strage».
I due malcapitati hanno potuto contattare gli altri ad un gruppo di whatsapp autonomo messo in piedi tramite l’organizzatore del volo, ma la vicenda poteva di sicuro scappare di mano e creare conseguenze maggiori in un periodo – questo attuale – molto delicato. L’Italia, il Lazio e Aprilia non possono permettersi di certo un altro lockdown. Da sottolineare anche un’altra probabile “leggerezza”, la 52enne attualmente è negativa, ma divide lo stesso appartamento con il figlio: «Il mio isolamento mi è stato proposto solo ieri, e sarebbe potuto partire da lunedì prossimo - spiega – io tra l’altro ho altre patologie, dichiarate in trasparenza, non mi spiego come sia stato possibile non pensare a questo particolare sin da subito. Ormai resto in quarantena con mio figlio, a dovuta distanza, faremo di nuovo il tampone e speriamo che tutto si sistemi in fretta». Infine i commenti razzisti che hanno reso questa assurda vicenda ancora più amara: «Sui social siamo stati bersagliati – spiega la 52enne, difendendo il figlio molto dispiaciuto – siamo italianissimi, ma anche se fossimo stati egiziani nulla sarebbe cambiato. Questa cattiveria gratuita, senza sapere come stanno veramente le cose è scioccante. È’ il male di questo nostro tempo».
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