A Cori si va per mangiare bene, ma la ripresa dei ristoranti «è dura anche qui»

A Cori si va per mangiare bene, ma la ripresa dei ristoranti «è dura anche qui»
di Alessandra Tabolacci
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Martedì 9 Giugno 2020, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 09:13

Riapertura difficile, tra voglia di ripartire e clienti che faticano a tornare, anche per i ristoranti di Cori. Da sempre uno dei punti di forza del centro lepino – a Cori si va anche perché si sa che si mangerà bene –, la ristorazione vive un faticoso e lento riavvicinamento alla vita pre-lockdown. Quasi tutti i locali hanno riaperto nel primo fine settimana utile, tra venerdì 22 e sabato 23 maggio, ma i dati di questi quindici giorni non sono confortanti.

La capienza dei locali è stata di molto ridotta per rispettare le norme di distanziamento (almeno un metro tra un tavolo e l’altro e tra i commensali) e ci si è attrezzati per osservare tutte le prescrizioni legate alla sicurezza sanitaria: guanti, mascherine, gel igienizzanti, cartellonistica per informare le persone, materiali monouso, igienizzazione dei locali. Si va anche oltre, misurando la temperatura al personale e, spesso, anche ai clienti, anche se non è un’operazione obbligatoria. Insomma, si fa tutto per assicurare la sicurezza degli avventori e dei lavoratori, per far sì che si possa tornare in tranquillità nel proprio ristorante di fiducia. Eppure non è così che va. Il numero dei posti a sedere si è ridotto parecchio, tra il 50 e il 60%, ma il punto è che è la clientela a mancare. Si viaggia attorno al 20% di quel che era prima del Coronavirus. «Manca la fiducia di tornare al ristorante – osserva Luca Zerilli, che il 1° maggio ha dovuto festeggiare i suoi 20 anni di gestione tenendo chiusa la nota trattoria Da Checco -, mentre i ragazzi non rinunciano alla loro movida, la nostra è una clientela più matura, più riflessiva, che ancora ha timore. Ci vorrà del tempo».

Gli incassi sono dunque magri – non ci sono le comitive, niente feste di laurea né turisti, ormai andato il periodo delle cerimonie - e mentre, nonostante le spese affrontate, non si aumentano i prezzi perché ci si rende conto che è una fase difficile per tutti, una parte dei dipendenti non può che essere in cassa integrazione e il personale a chiamata resta a casa. «Solo parlando dell’albergo – spiega Giuseppe Agostinelli dello storico ristorante Jo Botto, che nella struttura include anche un hotel – per l’estate sono già arrivate 350 disdette da tedeschi, americani e inglesi». Oltre alle paure c’è poi un altro aspetto che contribuisce a spiegare le sale semivuote: il venir meno della convivialità legata all’andare a pranzo o cena fuori. «L’altro giorno sono venuti 6 ragazzi – racconta Ottavio Zampi, da sempre a capo dell'omonimo ristorante cult di Cori – e ho dovuto metterli in un tavolo da 18. La prossima volta non verranno. Preferiscono prendere una pizza da asporto e andarla a magiare, più vicini, altrove». Insomma, motivi per essere scoraggiati ce ne sono e si oscilla tra la speranza e la rabbia. Contenti per l’esenzione della tosap, meno per l’obbligo di chiudere entro mezzanotte e mezza.

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