«La famiglia Ciarelli ha avuto sempre un grande peso all'interno delle case circondariali. Io per esempio nel 2018, quando ero detenuto a Latina. Mandai un ragazzo di cui non ricordo il nome a dare fastidio a Fabrizio Colletti che era stato arrestalo in una operazione insieme a Pasquale Maietta. Gli ho fatto mettere paura per ottenere denaro per la protezione». Lo racconta agli investigatori il collaboratore di giustizia Andrea Pradissitto, chiarendo altri aspetti dello strapotere del clan che continuava ad essere esercitato anche durante la detenzione. Sono alcuni degli aspetti che emergono dalle carte dell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del tribunale di Roma Simona Calegari, che ha portato a 15 nuovi arresti dei componenti delle due famiglie rom del capoluogo i cui interrogatori di garanzia cominciano nella giornata di oggi.
Il riferimento del collaboratore è a Fabrizio Colletti, arrestato ad aprile del 2018 nell'operazione Arpalo.
Se voleva stare tranquillo insomma c'era il clan a proteggerlo. Ma Colletti era solo un mezzo per arrivare a Maietta a cui il clan intendeva chiedere 200mila euro. Il detenuto si ritrovò a pagare 2mila euro per mezzo di un parente che li consegnò direttamente alla famiglia di Pradissitto. «Puntare su Maietta racconta ancora il collaboratore di giustizia significava estorcergli soldi sia per il nostro mantenimento sia per dare fastidio a Cha Cha. Io dissi quindi che negli istituti penitenziari c'eravamo noi che eravamo in grado di garantirgli la protezione tutelandolo da tutti grazie alla nostra forza». Anche fuori dal carcere, nel 2020, in regime di semilibertà, il pentito incontra di nuovo Colletti chiedendo un appuntamento con Maietta, ma l'occasione sfuma di nuovo perché il giorno dopo per lui si riaprono di nuovo le porte del carcere. Alle estorsioni a Colletti parteciparono in altre occasioni anche Roberto Ciarelli e Matteo Ciaravino, che una volta usciti dal carcere chiesero in diverse occasioni piccole somme di denaro che furono regolarmente consegnate.