Di Silvio, un supertestimone dietro l'inchiesta Alba Pontina

Di Silvio, un supertestimone dietro l'inchiesta Alba Pontina
di Marco Cusumano
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Martedì 19 Giugno 2018, 08:38 - Ultimo aggiornamento: 13:44

Non ci sono soltanto le dichiarazioni del pentito Renato Pugliese dietro all'indagine Alba Pontina che ha decapitato il clan Di Silvio. L'inchiesta ha avuto un notevole impulso anche da un altro detenuto che subì minacce e vessazioni mentre era in carcere per una rapina compiuta quando era ancora minorenne. Prima di essere rinchiuso, infatti, il giovane accusò il clan dei Travali facente capo a Costantino Di Silvio detto Cha-Cha. Siamo all'epoca del processo Don't Touch quando il giovane comincia a ricevere «pressioni, vessazioni e minacce per ritrattare il contenuto delle dichiarazioni accusatorie rese in una denuncia non sottoscritta».

Il clan, secondo l'accusa, incarica un altro detenuto di minacciare il giovane, mentre altre persone fanno lo stesso con i suoi parenti all'esterno. Il detenuto, dopo pressioni e minacce continue, tenta il suicidio in cella, nel maggio 2016. Dopo quel gesto i magistrati interrogano il detenuto che racconta molti dettagli utili alle successive indagini.
Fornisce, in particolare, informazioni sulla divisione territoriale degli affari criminali. «Campo Boario è dei Di Silvio, nessuno può spacciare lì oltre loro. I Travali invece controllano Q4, Villaggio Trieste e via Pierluigi Nervi. Ora che i Travali sono carcerati, i Di Silvio si sono presi il loro territorio». Il monopolio dei Di Silvio (del capo Armando) dopo l'arresto dei Travali e di Cha-Cha viene confermato da altri elementi d'indagine. Le dichiarazioni del detenuto, così come quelle del pentito Renato Pugliese, sono coperte da molti omissis nei faldoni dell'indagine Alba Pontina. Ciò nasce dalla necessità di non compromettere indagini in corso.

Nelle carte dell'inchiesta le parole del detenuto vengono definite di «elevatissima attendibilità, sulla base di riscontri oggettivi». Esattamente come i giudici definiscono attendibili le numerose testimonianze di Renato Pugliese. Il detenuto era caduto nella tela dell'usura dei Travali: un debito di 3.000 euro schizzò rapidamente a 75.000. Parlando delle dinamiche criminali della città, l'uomo racconta dello spaccio di droga dei Di Silvio: «A Campo Boario ho visto più persone comprare cocaina, basta citofonare nelle abitazioni». Si arriva così all'indagine Alba Pontina e al rodato sistema di spaccio ed estorsioni.

Ma per capire a fondo ciò che accadeva negli ultimi mesi, gli investigatori tornano ancora una volta indietro nel tempo, fino ad arrivare all'operazione Caronte che, dopo le indagini del pm Marco Giancristofaro, colpì il clan nel 2012. Già allora il tribunale del Riesame di Roma affermò che «la strategia criminale andava ben oltre l'attività del singolo gruppo familiare, avvicinandosi semmai molto alla fattispecie descritta dall'articolo 416 bis». Ovvero la mafia.

Ora, a distanza di 8 anni, quell'accusa è formalizzata grazie all'inchiesta Alba Pontina. «L'indagine - si legge nelle carte - fornisce uno spaccato di come la famiglia Di Silvio sia ormai radicata all'interno del tessuto sociale e familiare della cittadina pontina, costretta a subire le angherie di questi criminali».

Un clan caratterizzato anche dall'orgoglio per la propria provenienza, come si evince dalle parole di incitamento di Ferdinando Pupetto Di Silvio a un suo complice: «Tu lo fai per campare, sei zingaro! Lo devi fa! Lo devi inculare! Noi siamo nati per inculare gli altri!»

Marco Cusumano
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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