Zona gialla, perché non il Lazio? Il sospetto: «Una scelta politica per bilanciare la chiusura della Lombardia»

Zona gialla, perché non il Lazio? Il sospetto: «Una scelta politica per bilanciare la chiusura della Lombardia»
di Francesco Pacifico
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Venerdì 29 Gennaio 2021, 06:42 - Ultimo aggiornamento: 06:55

Negli uffici della Regione Lazio il sospetto, ora dopo ora, diventa prima presentimento, poi certezza. «Vuoi vedere che ci lasciano in zona arancione per bilanciare la decisione verso la Lombardia? Vuoi vedere che all'interno del governo si rende necessaria una lettura più restrittiva dei criteri nella scelta del colore, che finirà per colpire i territori più virtuosi, anche per venire incontro a quelle dove il Covid circola di più?». E la mente corre allo scorso marzo, quando, indipendentemente dal numero dei casi, tutto il Paese fu messo in lockdown. Con il Lazio che rischia di restare in fascia arancione, con l'indice RT, quello sulla velocità di trasmissione del virus, sceso a 0,73 e il numero dei ricoveri, dei posti letto in terapia intensiva e l'incidenza dei malati sulla popolazione in calo. Per la cronaca, in Lombardia, la percentuale dei positivi sui tamponi effettuati è del 6,2 per cento, nel Lazio è al 4.

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LA DECISIONE
Sospetti o certezze che siano, sul Lazio è piovuto un macigno: oggi la Cabina di regia guidata da ministero della Salute e dall'Istituto superiore di Sanità, dopo il parere non vincolante del Comitato tecnico scientifico, avrebbe dovuto sancire il ritorno del Lazio in zona gialla. Invece, ieri mattina, tecnici del dicastero guidato da Roberto Speranza hanno chiamato alla Pisana, per avvertire che la promozione in giallo era incerta e salivano le probabilità che la Regione restasse in zona arancione. Con le restrizioni che rendono impossibile consumare un pasto seduti al ristorante, entrare in un bar per un caffè o fare attività sportiva in palestra. Una doccia fredda.
Anche l'assessore regionale alla Sanità, Alessio D'Amato, aspetta la decisione. Lui, si sa, è da sempre un fautore della linea dura nella lotta al Covid, non si offende se gli si dà del talebano. Ma ieri non nascondeva sorpresa per come è stata gestita la vicenda. E ammetteva la doccia fredda. «Che cosa sta succedendo? Non dovete chiederlo a me, ma al governo - faceva sapere - Noi in questa vicenda siamo il valutato, non il valutatore e ci rimettiamo alle decisioni». Decisione politica? «Il modello condiviso - continua l'assessore - funziona con il ministero e Istituto superiore di sanità che esaminano e valutano i dati sui 21 indicatori che noi inviamo. Poi decidono e ce lo comunicano documenti alla mano. Ma in questa scelta c'è un margine di discrezionalità politica, che, ripeto, deve essere suffragato dai dati. Non escludo neppure che ci sia un tema di tempistica, cioè da quando vanno calcolati i 14 giorni in cui vigono le restrizioni della zona arancione». Appunto gli ultimi 14 giorni. «In questo lasso di tempo - sciorina D'Amato - l'indice Rt è passato da poco sopra uno a 0.73. Una settimana fa era a 0.98. Ma anche gli altri indicatori sono nella soglia di sicurezza: i posti in terapia intensiva, quelli occupati in generale nella rete ospedaliera Covid e abbiamo avuto anche un calo dell'incidenza dei positivi ogni 100mila abitanti e una riduzione dei focolai. Ma se mi chiedete com'è la situazione, vi dico che il Lazio, negli ultimi 14 giorni si si è indirizzato verso uno scenario in area moderata. E questo non vuol dire un liberi tutti».
Come detto, ieri sull'asse ministero della Salute Regione Lazio, il tema è stato all'attenzione dei tecnici come dei politici.

Dal dicastero giurano che una decisione definitiva non è stata presa, ma che dietro tanta incertezza c'è la disamina dei trend sanitari secondo i 21 indicatori scelti dalle parti. Stando all'ultimo Dpcm, i criteri devono registrare, anche se non tutti assieme, un calo costante verso la soglia di guardia per i 14 giorni della permanenza in zona arancione. Poi bisogna capire quando si calcola il periodo: l'ultima ordinanza firmata dal ministro Speranza vale dal 17 al 31 gennaio, ma l'avvio del monitoraggio dovrebbe partire dal 15, quando il ministro ha firmato l'atto. E questo crea il primo disallineamento. Poi sul piatto ci sono altre questioni: dal governo spiegavano l'allerta perché, seppure il numero dei casi scende, la percentuale dei positivi sul totale dei tamponi non si schioda dal 5,2 per cento. Da qui la voglia di cautela, di non escludere un allungamento delle restrizioni per chi è border line come il Lazio, anche per non creare ulteriori frizioni con la Lombardia dopo le polemiche sul calcolo sbagliato del Rt che ha lasciato la regione in zona rossa.


LE PROTESTE
Intanto monta la rabbia tra i ristoratori del Lazio, con Confcommercio che ipotizza una perdita di 50 milioni, con un'altra settimana in arancione. «E hanno ragione, li capisco - conclude D'Amato - noi abbiamo lavorato per mettere in condizioni questo comporto di ripartire almeno a pranzo. Ma il problema non è il modello di valutazione scelto, quando la temporalità delle decisioni: si prendono poche ore prima della loro applicazione, non dando tempo alle categorie di organizzarsi».

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