Vulci, il tesoro etrusco: ecco gli scheletri di tremila anni fa

Risalgono all'inizio del IX secolo a.C. Molti sono distesi sul dorso, ma non mancano i casi particolari: oltre al corpo rannicchiato, spicca lo scheletro di un defunto adagiato su un fianco.

Vulci, il tesoro etrusco: ecco gli scheletri di tremila anni fa
di Laura Larcan
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Domenica 23 Ottobre 2022, 07:40 - Ultimo aggiornamento: 13:33

La mano dell'archeologa si muove con precisione, il pennellino spolvera per piccoli tratti quella sequenza di ossa in connessione che disegnano il perfetto corpo deposto di fianco, con gli arti rannicchiati. L'équipe di studiosi guarda con attenzione quel defunto che risale ad almeno 2900 anni fa. «Siamo di fronte alla testimonianza degli scheletri Etruschi più antichi di Vulci, e dell'Etruria in generale», commenta Marco Pacciarelli che sta guidando lo scavo con il Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Napoli Federico II in accordo con la Fondazione Vulci e la Soprintendenza, sotto la responsabilità scientifica di Simona Carosi. Il corpo è appena riemerso da una tomba a fossa, in una porzione della necropoli di Ponte Rotto celebre per eccezionali sepolture come la tomba Francois. Vulci, d'altronde, è il gioiello in terra etrusca, nel viterbese, nel Comune di Montalto di Castro, legato all'antica, leggendaria, città destinata a diventare fiera antagonista di Roma.

 


GLI OBIETTIVI
Ma la fondazione di Roma avverrà due secoli dopo la vita di queste persone: «Il primo importante risultato dello scavo è quello inerente ai numerosi resti umani attraverso i quali possiamo studiare i primi abitanti di Vulci anche sotto il profilo genetico», commenta Carlo Casi presidente della Fondazione Vulci.
La vera sorpresa dello scavo, infatti, arriva dalle numerose sepolture a inumazione riaffiorate in un'area di 400 metri quadrati.

Risalgono all'inizio del IX secolo a.C. Siamo subito a Est della città, al di là del fiume Fiora. Molti i corpi distesi sul dorso, ma non mancano i casi particolari: oltre al corpo rannicchiato, spicca lo scheletro di un defunto adagiato su un fianco. Una sorpresa continua a Vulci: solo negli ultimi giorni sono state intercettate cinque grandi fosse con inumazioni. «Contengono ossa molto ben conservate e manufatti ceramici e metallici di particolare interesse, in corso di pulizia e restauro», racconta Pacciarelli.


IL DNA
Strategica è ora la collaborazione con l'università di Dublino per le analisi sul Dna antico. Verranno prelevati dalle inumazioni i campioni più idonei all'estrazione del Dna, soprattutto dall'osso chiamato rocca petrosa, e verranno mandati per le analisi genetiche nei laboratori irlandesi. «Si tratta di materiale scheletrico ben conservato: la natura calcarea del terreno protegge bene le ossa - spiegano Pacciarelli e Casi - Ciò consentirà di effettuare studi molto accurati di antropologia fisica, per identificare età, sesso, segni di patologie e di attività lavorative, belliche o di altro genere, oltre ad analisi isotopiche per capire se gli individui sono nati sul posto o se sono migrati da altre aree, fino a quelle genetiche che indicano i rapporti di parentela tra gli individui». Già, le parentele. Aspetto molto rilevante: «Per la prima volta - riflettono i due archeologi - è stata documentata nella necropoli di Vulci, una delle principali città etrusche, una organizzazione per piccoli gruppi topografici di natura familiare che mostrano una eccezionale continuità di utilizzo per un secolo e mezzo». Lo scenario infatti è quello di tombe per generazione, appartenenti, cioè, ad adulti e bambini nonché a maschi e a femmine.


I TOMBAROLI
E pensare che lo scavo ha subito una autentica accelerazione. È stata una corsa contro il tempo: «I tombaroli hanno letteralmente devastato le necropoli di Vulci, anche quelle più antiche come quella che stiamo scavando - dice Casi - Lo hanno fatto soprattutto tra gli anni '50 e '80 del 900. Ora la loro attività c'è, seppur molto rallentata, ma i danni sono stati già fatti». Nonostante tutto sono stati comunque rinvenuti moltissimi reperti, anche di grande pregi, tra i corredi delle tombe: «I manufatti sono numerosissimi, e attendono ancora di essere restaurati e studiati - raccontano Casi e Pacciarelli - Si possono citare ad esempio un morso equino di bronzo a forma di cavallo, una punta di lancia di bronzo, molte fibule di bronzo e a volte d'argento, vasi di bronzo, moltissimi vasi in ceramica, da quelli più antichi con incisioni di tipo villanoviano a quelli con decorazione dipinta nello stile del geometrico greco». E c'è un futuro per queste scoperte in termini di valorizzazione. «A breve termine è in progetto una mostra sui fondatori di Vulci nel museo del Castello dell'Abbadia. Nel medio termine è in preparazione un volume con la pubblicazione dello scavo». Intanto gli archeologi spolverano le ossa come fossero gioielli. «Si ricordi - aggiunge Casi - che le tecnologie per estrarre il Dna dalle ossa antiche dei Neanderthal è valso il premio Nobel a Svante Paabo».

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