Venezia, sorelle cadute dalla motonave: morte mano nella mano. Gli amici: «Bouchra e Sanae non si sono tolte la vita»

Sorelle morte mano nella mano. «Vi dico chi erano Bouchra e Sanae. Non si sono tolte la vita»
di Davide Tamiello
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Giovedì 9 Aprile 2020, 10:10 - Ultimo aggiornamento: 11:02

Così diverse, così unite. Un legame intenso, quasi esclusivo, quello tra Bouchra e Sanae El Haoudi, 43 e 39 anni, le due sorelle marocchine morte la notte tra lunedì e martedì in una tragica caduta da un motobattello dell'Actv nella tratta tra Punta Sabbioni e il Lido. Pragmatica e aperta la prima, più timida e introversa la seconda. Sempre insieme, in una condivisione costante di gioie e dispiaceri, fino a quell'ultimo drammatico istante in cui i corpi sono stati ritrovati dai sommozzatori dei vigili del fuoco, a pelo d'acqua, all'altezza delle bocche di porto, mano nella mano. 

Venezia, cadono in mare dal traghetto e annegano: morte due donne

Bouchra e Sanae El Haoudi


I volti delle sorelle El Haoudi sono un ricordo indelebile nella mente di Naima, amica e connazionale delle due donne che da settembre vive in Inghilterra, dopo quasi vent'anni trascorsi a Mestre. Molti di questi, peraltro, passati fianco a fianco a Bouchra.
 
«L'ho conosciuta nel 2006, lei era appena arrivata in Italia con il visto da studente - racconta - io a quel tempo abitavo in via Cappuccina, e le avevo proposto di venire a casa mia, in cambio di un aiuto con le mie bambine». L'avventura italiana della 43enne era iniziata così, ma alla donna fare la babysitter non bastava: in Marocco aveva studiato, a Venezia aveva continuato a farlo. «Oltre all'arabo, parlava perfettamente francese e italiano - continua Naima - mio marito lavorava in un albergo a Castello, faceva soprattutto turni di notte. E allora ha pensato di presentarla al titolare».

E da quell'albergo, per 14 anni, non se ne era più andata, lavorando alla reception. «Il titolare l'aveva tenuta in prova come stagionale per un po', poi le aveva fatto avere il contratto a tempo indeterminato per aiutarla anche con i documenti. Ci eravamo sentiti a gennaio ed era felicissima perché le era partita la pratica, passati oltre dieci anni, per la cittadinanza». Però l'impiego in albergo non era sufficiente a sbarcare il lunario. «Aveva un contratto per il fine settimana, quindi arrotondava con altri lavori, occasionali. Aveva collaborato anche con la Mostra del cinema». L'emergenza sanitaria, però, le aveva fatto perdere più di un impiego. Potrebbe essere questo, secondo gli inquirenti, il movente di un eventuale suicidio. 

SOGNI D'ARTISTA
Dopo qualche anno era arrivata anche Sanae. Dolce e sensibile, ma meno determinata della sorella. «Il titolare dell'albergo aveva cercato di sistemare anche lei, in un'altra struttura ricettiva della Riviera del Brenta, come cameriera. Aveva lavorato lì per un anno: lei l'italiano lo parlava poco, e con il tempo non era migliorata». Lei, così rapita dal bello, dall'arte e dalla fotografia, a Venezia aveva trovato terreno fertile per le sue passioni. «Però le mancava sempre un lavoro. Io ero preoccupata e dicevo a Bouchra: Non va bene così, deve darsi da fare. Lei la difendeva, per lei era come una figlia, anche adesso che aveva 39 anni. Mi rispondeva sempre: Lasciala stare, lei è piccola. Nel suo cuore c'è l'arte». 

«NON SI SONO TOLTE LA VITA»
Naima, negli ultimi dieci anni, era stata come una terza sorella per le due donne. Era stata vicina a Bouchra dopo la rottura del suo matrimonio (sette anni fa, con un libico poi tornato in patria) e a Sanae, quando si era decisa a fare domanda per la protezione umanitaria, per non essere rimpatriata nel suo Paese perché senza lavoro non è possibile ottenere il permesso di soggiorno. Lei, all'ipotesi di suicidio, non crede. «Non può essere andata così, Bouchra era forte, era lei quella che trascinava gli altri. Ne aveva passate tante, e aveva sempre affrontato tutto a testa alta. È impossibile che abbia preso questa decisione, qualunque cosa possa esserle successo». 

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