Vaccino, lo specializzando di Roma: «Faccio 50 punture al giorno e ogni volta mi sembra di abbracciare mia nonna»

Vaccino, lo specializzando di Roma: «Faccio 50 punture al giorno e ogni volta mi sembra di abbracciare mia nonna»
di Graziella Melina
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Lunedì 19 Aprile 2021, 09:51 - Ultimo aggiornamento: 15:55

«Dopo il momento iniziale di smarrimento, la pandemia mi ha permesso di mettermi subito a disposizione dei pazienti». Domenico Pascucci, trent'anni, specializzando di igiene e medicina preventiva dell'Università Cattolica di Roma, è uno dei medici del Centro vaccinale covid 19 Columbus Policlinico Gemelli. Da dicembre ha somministrato il farmaco anticovid a circa 4mila persone. Per lo più anziani. «Mi fanno tanto tenerezza - racconta - nel senso che io non posso abbracciare mia nonna, però vedendo loro è come se vedessi lei».

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Come vive questa situazione così delicata?
«La paura c'è stata e c'è sempre.

Ma c'è anche tanta speranza dovuta al fatto che crediamo fortemente nell'efficacia e nella sicurezza che la campagna vaccinale potrà dare a tutta la popolazione globale. Anche perché sappiamo bene che non esiste una cura per il covid, quindi il vaccino è l'unica arma che abbiamo per venire fuori da questa pandemia. Io la vivo come una missione, per il bene della sanità pubblica, anche se ci sono momenti di stanchezza, o qualche situazione un po' difficile da gestire. Ma non lo trovo uno sforzo pesante e gravoso, anzi lo faccio con molto piacere perché sono anche affiancato da persone che sanno fare un ottimo gioco di squadra. Abbiamo instaurato un bellissimo rapporto che va al di là di quello professionale».


Di persone da vaccinare ne ha incontrate davvero tante.
«Ho iniziato a lavorare il 28 dicembre. Abbiamo vaccinato prima gli operatori sanitari, poi dall'8 di febbraio gli over 80 e poi man mano si sono aggiunti gli over 70. Dal mese di marzo inoculiamo il vaccino ai pazienti fragili che sono seguiti all'interno del nostro policlinico, sono estremamente vulnerabili, oncoematologici, con importanti disabilità. In totale, all'interno del nostro policlinico abbiamo effettuato più di 30mila somministrazioni. Personalmente, circa 4mila, diciamo una media di 50 al giorno».


Chi si viene a vaccinare ha qualche titubanza?
«Gli anziani non hanno paura di nulla. Ci sono persone che magari hanno già vissuto gli orrori della guerra e quando vengono qui per il vaccino esprimono una profonda gratitudine per il nostro operato. Sono sempre molto speranzosi. Non vedono l'ora di venir fuori da questo tunnel per iniziare una nuova fase. La maggior parte delle volte, prima di andare via, la frase che tutti ci confidano è sempre la stessa: finalmente potrò riabbracciare i miei nipoti. Li vedo quasi in trincea come noi, nel senso che combattono quasi al nostro fianco. Sono talmente contenti e orgogliosi di essersi vaccinati che spesso ci chiedono anche la spilletta con la scritta io mi sono vaccinato. Ci dicono che vogliono far vedere, magari al parente o all'amico, che hanno fatto il vaccino. Sono davvero un esempio di speranza per tutti».


Con i pazienti fragili serve qualche precauzione in più?
«Sono persone estremamente convinte sia della sicurezza che dell'efficacia del vaccino. La loro preoccupazione è legata semmai alla possibile interazione con un eventuale farmaco che stanno già assumendo. Ma fanno totale affidamento in noi, cercano rassicurazioni. Noi siamo comunque sempre pronti sempre ad ascoltare, comprendere e coinvolgere i pazienti nel processo decisionale».


Lei parla di tutti i pazienti vaccinati finora come se li conoscesse uno ad uno
«È vero, in quel momento stabiliamo un rapporto particolare. Dopo mesi di isolamento, hanno bisogno di parlare e di sentirsi accolti. E poi i pazienti anziani mi fanno una tenerezza infinita. Io provengo da un piccolo paese in provincia di Avellino e non torno a casa da settembre del 2020. Visto che non posso abbracciare mia nonna, che mi è rimasta, vedendo loro è come se vedessi lei. E poi, quando li guardo vedo anche l'inizio di questa fase di speranza verso una nuova normalità».

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