Gli ultimi secondi di conversazione tra il comandante Domenico Gatti e il copilota Enzo Fontana sono impressi nella scatola nera del Dc9 I-Tigi in volo da Bologna a Palermo, in ritardo di un paio d’ore, il 27 giugno 1980 alle 20.59. Il “flight data recorder” è stato recuperato a oltre 3mila metri di profondità nel Tirreno, anni dopo quella che i Tg chiamarono “la tragedia di Ustica” e sarebbe stata rinominata “la strage di Ustica”, appena si poté escludere l’ipotesi del cedimento strutturale. Missile o bomba? Questo il dilemma. Tra una barzelletta e l’altra, il copilota dice qualcosa che è stato ricostruito come «Guarda, cos’è…». Poi più nulla. Interrogativo rimasto appeso per 43 anni e ancora senza risposta. Una sentenza penale definitiva conclude per l’ordigno a bordo (ma non specifica chi lo avrebbe piazzato), mentre una ridda di sentenze civili dispone risarcimenti per la mancata protezione del volo IH870 e li imputa ai ministeri di Difesa e Trasporti, per i familiari delle 81 vittime e degli eredi della compagnia Itavia ormai fallita. L’ipotesi, in questo caso, è quella dell’atto di guerra, uno scenario nel quale il Dc9 sarebbe stato colpito nel mezzo di un duello dell’aria tra caccia Nato (Amato ipotizza francesi) e mig libici, uno dei quali si sarebbe fatto scudo con l’I-Tigi. La sentenza penale è del 2006, le indagini restano potenzialmente aperte, e i documenti sono stati de-secretati. Le sentenze civili avvalorano le conclusioni dell’inchiesta portata avanti dal giudice Rosario Priore, chiusa il 31 agosto 1999, grazie anche alla ricostruzione in un hangar (diventato museo) del relitto trovato a 3700 metri di profondità. Monumento ai “misteri del caso Ustica”, di cui non vogliono sentir parlare i sostenitori di entrambe le tesi, missile o bomba, convinti delle loro tesi. L’ordinanza di Priore conclude: «L’incidente al Dc9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento… È stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione… propriamente atto di guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti».
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L’ipotesi ribaltata dalla sentenza definitiva, che la considerò fantasiosa, era che l’obiettivo fosse il colonnello Gheddafi, all’epoca come si sapeva periodicamente in volo per la Svizzera dov’era in cura, in un periodo di contrapposizione tra Parigi e Tripoli.
IL PILOTA LIBICO MORTO
Un altro mistero riguarda il ritrovamento di un Mig libico il 18 luglio 1980, schiantatosi sui Monti della Sila. Il pilota era un siriano, Ezzedin Koal, e secondo alcuni il corpo era già decomposto: l’incidente poteva essersi verificato la sera di Ustica. Ma anche questa ricostruzione non ha retto alla prova del dibattimento. Nel tempo, a parlare di missile francese è stato Cossiga, in base a rivelazioni dei capi dei servizi italiani in contatto con quelli d’Oltralpe. Ma neanche un potentissimo aereo radar Awacs americano a nord di Grosseto, in grado di monitorare il traffico a distanza, avrebbe “visto” nulla. E nei tracciati le “scie” dei jet sono via via apparse e scomparse, a seconda delle interpretazioni.
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