Uno Bianca, permesso premio ad Alberto Savi. I parenti delle vittime: «Un'indecenza»

Uno Bianca, permesso premio ad Alberto Savi. I parenti delle vittime: «Un'indecenza»
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Sabato 4 Gennaio 2020, 19:07 - Ultimo aggiornamento: 1 Marzo, 21:42

Alberto Savi, il più giovane dei tre fratelli della banda della Uno Bianca (gli altri sono Roberto e Fabio), che tra il 1987 e l'autunno del 1994 fece 24 morti e oltre 100 feriti, durante le vacanze natalizie ha usufruito di un permesso premio, potendo trascorrere qualche giorno a casa con i familiari. L'ex poliziotto killer, che sta scontando l'ergastolo, è già rientrato nel carcere di Padova, come ha confermato la sua legale, avvocata Anna Maria Marin. Non è la prima che Alberto Savi usufruisce di un beneficio, era già successo nell'aprile del 2018, quando aveva ottenuto tre giorni e mezzo di permesso per le feste, con la possibilità di uscire a pranzo il giorno di Pasqua, e ancor prima nel 2017, quando gli erano state concesse 12 ore da trascorrere in una comunità protetta. «Sta continuando in maniera regolare i permessi premio - ha spiegato l'avvocata Marin - e il suo comportamento viene valutato costantemente. In carcere prosegue a lavorare con una cooperativa». Ogni volta, però, si sono levate le polemiche dei familiari delle vittime, contrari a qualsiasi tipo di beneficio per i membri della banda, che proprio oggi si sono visti a Bologna per la cerimonia commemorativa del 29/o anniversario dell'eccidio del Pilastro, quartiere dove vennero uccisi tre carabinieri.

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Circa un mese fa, invece, il magistrato di sorveglianza ha rigettato la richiesta di Fabio Savi, detenuto nel carcere milanese di Bollate, di poter lavorare all'interno dell'istituto penitenziario. «Sta già facendo dei corsi in carcere - ha spiegato l'avvocata che lo assiste, Fortunata Coppelli -, ma nonostante le relazioni sul suo conto siano positive la richiesta di lavoro è stata respinta».

«Speriamo di sapere la verità vera sulla Uno Bianca perché, fino adesso, penso che non l'abbiamo saputa. La sanno solo quelli che sono in cielo e i Savi, ma io penso che morirò senza saperla. Mi auguro almeno di sapere quello che è successo, perché è stato fatto, uccidere ragazzi che in tre avevano 64 anni è una cosa a cui ancora, adesso, non posso pensare». Lo ha detto, al termine della commemorazione dell'eccidio del Pilastro che si è svolta oggi a Bologna, Anna Maria Stefanini, madre di Otello, uno dei tre carabinieri che il 4 gennaio 1991 vennero uccisi dalla banda della Uno Bianca. «Sono passati 29 anni - ha aggiunto - ma è come se non fosse passato niente. Il mio dolore è sempre quello, anzi più anni passano più è peggio». Ventinove anni dopo le azioni della banda, guidata dai fratelli Savi, ad Alberto è stato concesso un permesso premio di qualche giorno per Natale. «Sentendo tutte queste cose... - ha aggiunto Stefanini - A quello gli danno i permessi, gli altri li hanno rimessi tutti insieme. Mi piace che li hanno messi insieme, così quando escono la banda è riformata. Però sono talmente stanca di aver parlato tanto in questi anni, ma non si è concluso niente. E' una cosa indecente che chi ha ucciso 24 persone e ne ha ferite 103 debba uscire con i permessi. Per me non dovrebbe esistere - ha concluso - anche se io sono cristiana e credente. Chi sbaglia deve pagare, specie perché anche loro indossavano una divisa. A me hanno tolto la vita, la cosa più preziosa che una mamma possa avere: un figlio. Non è una cosa che può passare mai
».

«Io penso che non sia giustizia questa: noi per andare a trovare i nostri familiari andiamo nei cimiteri. Purtroppo questa è la verità e loro dovrebbero vergognarsi di potere usufruire di questi permessi premio e andare a trovare i loro familiari. Questa però è una cosa che fanno e noi dobbiamo prenderne atto, se la giustizia è questa dobbiamo prenderne atto» ha detto Rosanna Zecchi, presidente dell'Associazione Familiari Vittime della Uno Bianca. «Hanno fatto piangere troppe persone - ha aggiunto Zecchi - non possiamo stare zitti».

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