Terremoto L'Aquila, sentenza choc. «Colpa anche delle vittime, dovevano uscire di casa». Risarcimenti tagliati

Sentenza choc all’Aquila per il crollo di uno stabile in centro: morirono in 24

Terremoto L'Aquila, schiaffo alle vittime: il giudice taglia i risarcimenti. «Dovevano uscire di casa
di Angelo De Nicola e Marcello Ianni
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Mercoledì 12 Ottobre 2022, 00:19 - Ultimo aggiornamento: 13 Ottobre, 06:20

E’ una colpa, per le vittime sotto le macerie del crollo, non essere usciti di casa dopo due scosse di terremoto molto forti che seguivano uno sciame sismico che durava da mesi. E’ destinata a far discutere la sentenza in sede civile del Tribunale dell’Aquila, riferita al crollo di uno stabile in centro del capoluogo abruzzese nel sisma del 6 aprile 2009 in cui morirono 24 persone sulle 309 totali. Sì perché la sentenza choc va a toccare il tasto più delicato delle inchieste e dei processi che si sono susseguiti in questi tredici anni dal 2009: le rassicurazioni («Lo sciame sismico? Beviamoci su un bel bicchiere di Montepulciano» disse Bernardo De Bernardinis, allora vice capo della Protezione civile) alla popolazione fatte ai massimi livelli.

«E’ fondata l’eccezione di concorso di colpa delle vittime - si legge a pagina 16 della sentenza firmata dal giudice Monica Croci del Tribunale civile dell’Aquila in composizione monocratica -, costituendo obiettivamente una condotta incauta quella di trattenersi a dormire nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile. Concorso che può stimarsi nel 30 per cento», ovvero la misura di cui verrà decurtato il risarcimento danni stabilito.

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Condotta incauta”, quindi.

Una visione diametralmente opposta allo «state tranquilli, lo sciame sta liberando energia» che venne dagli organi dello Stato nei giorni a ridosso della grande scossa (6.3 della scala Richter). Il 31 marzo 2009, cinque giorni prima del sisma, si riunì all’Aquila la “Commissione Grandi Rischi” per fare il punto sullo “sciame” in atto almeno da novembre. Il tono rassicurante del verbale di quella riunione venne accolto come una promessa che nulla di grave sarebbe accaduto. E in tal senso la sentenza di primo grado del “Processo alla Grandi Rischi” condannò a sei anni i sette componenti di quella Commissione, appunto «per aver rassicurato». Una sentenza clamorosa che fece il giro del mondo. Poi, in Appello quel giudizio venne del tutto ribaltato: assolti i membri della Commissione “perché il fatto non sussiste”, a eccezione di De Bernardinis, condannato a due anni. «Un terremoto nel terremoto», fu il lapidario commento a caldo di uno dei legali di parte civile.

Nel frattempo lo stesso Ingv (l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) ha smentito con uno studio la teoria secondo cui c’è «dispersione di energia attraverso uno sciame sismico», affermazione questa che invece circolava, anche per le vie ufficiali, all’Aquila nei giorni precedenti al sisma.

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CORRESPONSABILITA’
La sentenza del Tribunale civile riguarda solo alcune delle 24 vittime. Dopo la tragedia, gli eredi dei deceduti, avendo dalla loro perizie che attestavano irregolarità in fase di realizzazione dell’immobile e una «grave negligenza del Genio civile nello svolgimento del proprio compito di vigilanza sull’osservanza delle norme poste dalla legge vigente, in tutte le fasi in cui detta vigilanza era prevista», avevano citato in giudizio (per milioni di euro) sia i ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture e Trasporti per le responsabilità della Prefettura e del Genio Civile nei mancati controlli durante la costruzione; sia il Comune dell’Aquila per responsabilità analoghe e le eredi del costruttore (nel frattempo deceduto).

In particolare il Tribunale, ha riconosciuto una corresponsabilità delle vittime ricorrenti pari al 30% perché ha ritenuto siano stati imprudenti a non uscire dopo la seconda scossa (in quella tarda serata si verificarono due forti scosse: una verso le 23 e una verso l’una di notte, prima di quella tragica delle 3.32); ha condannato i Ministeri e le eredi del costruttore, mentre ha respinto le domande nei confronti del Comune.
L’aspetto penale era stato archiviato quasi nell’immediatezza dell’inizio della maxi inchiesta sui crolli (220 quelli definiti) da parte dei Pubblici ministeri Alfredo Rossini (ex Procuratore Capo), Fabio Picuti e Roberta D’Avolio in quanto i presunti responsabili, all’epoca identificati quali indagati, erano deceduti nel corso degli anni.
 

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