Terremoto, le donne riemerse dalle macerie: «Più forti del sisma»

Terremoto, le donne riemerse dalle macerie: «Più forti del sisma»
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Lunedì 24 Agosto 2020, 01:39 - Ultimo aggiornamento: 12:40

Le celebrazioni in ricordo delle vittime del terremoto, a quattro anni dal sisma, cominceranno questa mattina alla 10.45 con la santa messa celebrata da monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti. Parteciperanno il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, l’assessore regionale al Lavoro e nuovi diritti, Scuola e Politiche per la ricostruzione Claudio Di Berardino e l’assessore regionale al Turismo e Pari opportunità Giovanna Pugliese. La messa si terrà al campo sportivo comunale “Paride Tilesi” e per motivi di distanziamento saranno ammesse massimo 600 persone. 

Terremoto, quattro anni fa alle 3.36 la tragedia: il dolore per le 337 vittime e il miraggio ricostruzione

L'anniversario del terremoto


L’apertura dell’area è prevista per le 9.30, sarà necessaria all’ingresso l’autocertificazione compilata, obbligatorio l’uso della mascherina e la misurazione della temperatura. Le celebrazioni proseguiranno poi nella notte. La veglia di preghiera comincerà alle 2.30 per culminare alle 3.36 con la lettura dei nomi delle vittime. Al termine verranno consegnati ai partecipanti dei lumini. Per tutta la giornata ad Amatrice sarà lutto cittadino.


Martina
Ha perso tutta la famiglia
«Ne ho ricostruita un’altra
qui ci sono le nostre radici»


«Dal dolore nasce la forza». Quella che ti aiuta ad andare avanti e a ricominciare tutto daccapo. Un’immagine che, più di altre, fa pensare alla ricostruzione. A nuovi muri e a nuovi tetti. Ne sanno qualcosa Martina e Mario, due giovani di Amatrice che hanno deciso di rimanere aggrappati alla loro terra, messa in ginocchio da un terremoto che a distanza di quattro anni sembra ancora scuotere, nelle viscere, anime, luoghi e coscienze.

«Martina è una roccia», racconta il suo compagno Mario, riportando indietro le lancette a quella notte del 24 agosto 2016. E ha ragione, perché Martina Ciancaglioni, che oggi ha 29 anni, là, sotto quelle macerie, ha lasciato la sua intera famiglia: il papà Agostino, costruttore, la mamma Rita, caposala all’ospedale del paese e la sorella Morena, futuro ingegnere, che di anni ne aveva 28 ed era incinta.

Li ha sepolti il sisma sotto la loro casa di via Madonna della porta, cuore storico di Amatrice, a due passi dalla chiesa di San Francesco, uno dei pochi simboli del vecchio borgo rimasti parzialmente in piedi. Martina si è salvata per miracolo, Mario l’ha chiamata al telefono qualche ora prima della scossa delle 3 e 36. Era già a letto, lui ha insistito, poi è andato a prenderla e l’ha portata a casa sua.

Il terremoto ha azzerato le vite di Martina e Mario, ma non li ha vinti, anzi li ha uniti ancora di più. «Abbiamo sempre avuto in mente l’idea di rimanere qui, dove siamo cresciuti, dove abbiamo le nostre radici», raccontano. Oggi vivono a Villa San Cipriano, nella casa che stava costruendo il papà di Martina e con tenacia sono andati avanti. Lei, nel 2018, si è laureata, con lode, in Scienze della Nutrizione, oggi lavora in un pastificio nato nel cratere. L’anno dopo si sono sposati e il 4 febbraio di quest’anno è nato il loro bambino, Matteo. Sono indomabili, ma non riescono a immaginare cosa gli riserverà il futuro, perché non credono che la ricostruzione arriverà presto.
Fabrizio Colarieti

Francesca
Sopravvissuta sotto le pietre
oggi ha 18 anni: «Ce l’ho fatta 
pensando a mia sorella»


«Avevamo passato una bellissima serata con tutta la famiglia, mangiando e scherzando», racconta Francesca Marincioni, che la sera del 23 agosto 2016 aveva quattordici anni e adesso ne ha compiuti diciotto. «Ci mettemmo a letto che era passata la mezzanotte. Io e mia sorella minore Chiara dormivamo all’ultimo piano, accanto a noi c’era la camera di mamma e papà, al piano di sotto quella dei nonni. Non riuscivo a prendere sonno, ero arrabbiata. D’un tratto mi rannicchiai, tirai la coperta fin sopra la testa e finalmente mi addormentai». Dopo qualche ora il risveglio, traumatico e violentissimo. Il terremoto fa letteralmente implodere la casa, le due sorelle si ritrovano sotto il tetto crollato. «Eravamo immobilizzate da muri e travi. Io ero in posizione fetale e potevo muovere solo una mano, Chiara era supina, del tutto bloccata. Ho ricordi confusi di quei momenti, so solo che abbiamo gridato tanto per chiedere aiuto, abbiamo pregato e ci siamo dette non so quante volte che ci volevamo bene». Interminabili ore con la polvere in bocca, i sassolini negli occhi, la forza di farsi coraggio l’un l’altra. Poi, la voce: «Vi abbiamo sentite, stiamo arrivando». I vigili del fuoco fanno piano, le tranquillizzano, tirano fuori da quella trappola di sassi e sangue. Francesca chiede disperatamente dei genitori, dei nonni, della sorellina. «Poi ho visto Chiara su una barella, non ero sicura fosse lei, aveva la faccia tutta grigia». Ciao Chia’. Ciao Fra’. Null’altro. Né papà Mauro né mamma Gabriella ce l’hanno fatta. E neppure nonno Adriano e nonna Artemia: tutti e quattro sono stati estratti senza vita dalla macerie. Da allora per le ragazze è iniziata la composizione di un puzzle sbiadito da ricomporre da capo. Ora si va avanti, con l’entusiasmo dei diciotto anni e una vita intera da scrivere. «Ad Amatrice ci sono tornata dopo un anno, mi pareva incredibile». Francesca è serena, sorride accarezzando il suo amato gatto Leo, «quello che avevamo il giorno del terremoto non l’abbiamo più trovato, ne abbiamo preso un altro». Dove ha trovato la forza? «Nel ricordo di mamma e papà. E soprattutto vado avanti per Chiara. Io per lei, e lei per me».
Sabrina Vecchi


Francesca, seconda da destra

Stefania
Un figlio morto nel terremoto
«Aiuto i giovani a realizzare sogni
così ho superato il mio dolore»


È morta con lui, ha attraversato il buio, è rinata. Per gli altri due figli e per quella voglia di vivere che aveva Filippo Sanna, morto nel sisma di Amatrice. «Ora aiuto altri giovani a realizzare quei sogni che aveva lui, che amava vivere davvero», racconta Stefania Ciriello. «La mia storia è molto semplice: quella notte eravano a casa, la prima scossa mi ha svegliato, ho sentito un boato, poi è crollato tutto». Chissà quante volte l’ha raccontato. Non è qui ce si commuove. E quando parla del suo Filippo che la voce tentenna. «Mio marito ha iniziato a chiamare i ragazzi, due rispondevano, lui no». Dopo 5 ore sotto le macerie e una settimana all’ospedale di Pescara, tra speranza e disperazionem non è sopravvissuto. «Sarebbe stato per sempre menomato e conoscendolo avrebbe sofferto lui così bello e vitale, forse era una pura forma di eoismo sperare si salvasse». Stefania non fa l’eroe. «Poi c’è stata la discesa agli inferi, ci siamo chiusi e fatti del male. Grazie all’aiuto dei nostri figli che non volevano vivere con dei genitori fantasmi ci siamo ripresi».


Stefania, prima da destra

La coppia ha fondato un’associazione di promozione sociale per aiutare i giovani fornendo loro borse di studio, «abbiamo aiutato altri giovani di Amatrice a completare il loro percorso di studi, finanziato anche attraverso spettacoli». Musicisti e dottori, «E istituito un premio letterario intitolato a Filippo: dedicato ai giovani tra i 14 e i 18 anni per dar loro voce». Ogni anno un tema: l’amicizia, cavallo di battaglia di Filippo, la paura e il coraggio. «La paura che abbiamo passato, io purtroppo sono una sopravvissuta e questa vita che mi rimane da vivere devo impiegarla non solo per me ma per aiutare gli altri. Ora ci stiamo impegnando per la sicurezza nelle scuole di Rieti, anche il covid rientra nell’emergenza», Nel 2018 una proposta: raccontare la sua storia per creare borse di studio per Amatrice. «Terapeutico condividere il dolore con altre mamme, ho saputo dare parole al mio dolore e quando uno esprime emozioni e dolore vuol dire che lo sta affrontando. Ora siamo sorelle, insieme abbiamo scritto lettere ai nostri figli. Filippo, studiava ingegneria meccanica, suonava la chitarra elettica, amava vivere, ci ha insegnato ad assaporare la vita». Con il marito ha ideato l’onlus Amii di Filippo”, nel libro di Gaia Simonetti “Lettere senza confini” ha raccontato il suo dolore. Un fiume in piena.
Raffaella Troili

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