Straberry, a Milano nell'azienda modello insulti e sputi ai dipendenti

Straberry, a Milano nell'azienda modello insulti e sputi ai dipendenti
di Claudia Guasco
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Giovedì 27 Agosto 2020, 08:34

MILANO Il «Capo grasso» faceva paura a tutti: vessava, minacciava, imponeva ritmi massacranti nei campi per 4,5 euro all'ora. «Questo mese solo un giorno di pausa, sempre lavoro. Io sempre stanco, faccio il lavoro di dieci persone», si sfoga Ibrahim lamentando turni fino a dodici ore consecutive. StraBerry, la fattoria delle fragole, era tutt'altro che l'idillio agreste a quindici chilometri dal centro di Milano. È il primo caso di caporalato all'ombra della Madonnina. La startup dei frutti di bosco a chilometro zero fondata dal bocconiano Guglielmo Stagno d'Alcontres, ha svelato l'inchiesta della Procura di Milano che ha indagato sette persone, era un'azienda agricola da 7,5 milioni con gli schiavi extracomunitari nei campi, sprezzante della legge e dell'umanità.

Sfruttamento e caporalato a Straberry, così a Milano crolla il mito della fattoria delle fragole

MANCANZA DI SCRUPOLI
A imporre le regole, rivelano le intercettazioni, è il «Capo grasso» Stagno d'Alcontres, che dettando le direttive mostra la sua «totale mancanza di scrupoli», scrive il pm Gianfranco Gallo nella richiesta di sequestro convalidata dal gip Roberto Crepaldi. «Questo deve essere l'atteggiamento, perché con loro devi lavorare in maniera tribale. Tu devi fare il maschio dominante - ride d'Alcontres - è quello il concetto, io con loro sono il maschio dominante. Sono più orgoglioso di avere inventato StraBerry che avere questi metodi coercitivi, chiamiamoli così, nei loro confronti. Ma sono i metodi con i quali bisogna lavorare». Un manager muscolare sprezzante di ogni regola contrattuale, scrive il pm: chi non accetta turni massacranti viene licenziato, spesso nemmeno confermato dopo due giorni in prova senza retribuzione. I braccianti non conoscono la lingua, non hanno il permesso di soggiorno e vivono nei centri di accoglienza, pur di racimolare qualche euro abbassano la testa. Qualcuno prova a ribellarsi, ma incassa solo umiliazioni: «Mi ha detto che siamo dei poveracci africani che non hanno niente, poi mi ha spintonato violentemente provando a buttarmi fuori dall'ufficio e mentre mi spingeva continuava a venirmi sulla faccia e continuava ad urlare e sputacchiarmi in faccia», è il trattamento ricevuto da Mohamed da parte di uno dei capi. «Erano molto offensivi, sempre, contro tutti gli africani. Usavano parole come cog...one, negro di merda, animali. Offendevano». Le condizioni di lavoro non erano da meno. «È concesso bere ma soltanto se hai con te una bottiglietta d'acqua, non è permesso poter andare a bere alla fontanella. Quindi se non hai la bottiglietta non bevi e io, quel giorno, me la ero dimenticata - ricorda Diallo - Ci sono altre proibizioni. Per esempio non è possibile parlare con i compagni di lavoro, ho visto tante volte Capo grasso mandare via le persone perché parlavano tra di loro». O soltanto perché, stremate dalla sete, sono andate alla fontanella distante dieci minuti di cammino.

BAGNI SOLO PER ITALIANI
Non ci sono toilette, riferisce un ex stagista, «i servizi igienici sono costituiti da un bagno chimico a esclusivo uso del personale di origine italiana. Non c'è un servizio igienico per gli operai» provenienti dall'Africa. «Ogni volta che avevo bisogno del bagno andavo nei cespugli - dice Idron - Non ci sono docce, c'è un rubinetto con il tubo di plastica per bere ma era vietato usarlo per lavarci, andavamo in un piccolo canale. Non c'è la mensa, mangiavamo lungo il viale d'ingresso dell'azienda, per terra». Chi prova a protestare viene cacciato. È la regola del Capo grasso: «Domani cominciamo a buttarli fuori uno alla volta, anche quelli vecchi. Cominci a buttarne uno, no? E vediamo gli altri. Il primo che rompe i cog...ni va a casa, vediamo se gli altri non stanno attenti».

 

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