Statali, dieci anni di tagli: una ferita per il Mezzogiorno

Statali, dieci anni di tagli: una ferita per il Mezzogiorno
di Luca Cifoni
4 Minuti di Lettura
Sabato 5 Settembre 2020, 01:25 - Ultimo aggiornamento: 12:22

In Italia ci sono troppi dipendenti pubblici, in larga parte concentrati al Sud? È un vecchio adagio che può suonare bene alle orecchie di qualcuno, ma che i numeri - soprattutto per quel che riguarda gli anni più recenti - si stanno incaricando di smentire. Da una parte i risparmi di spesa attuati a partire dal 2008 ed in particolare quelli derivanti dal mancato ricambio generazionale hanno ridotto il peso del lavoro pubblico, che già nel nostro Paese è relativamente basso nel confronto internazionale; dall’altra proprio i tagli hanno colpito più duramente al Mezzogiorno, riducendo il “vantaggio” nei confronti del Nord in termini di maggiore densità degli statali e creando situazioni di sofferenza in alcuni settori, a partire dalla sanità. L’analisi di quanto accaduto negli ultimi anni nel lavoro pubblico è contenuta in un recente studio della Banca d’Italia (firmato da Lucia Rizzica) che si basa su dati della Ragioneria generale dello Stato e dell’Ocse per quanto riguarda le comparazioni internazionali.

LEGGI ANCHE --> La questione Meridionale: «I fondi Ue per chiudere i gap col Nord sui servizi» Zingaretti: usiamo il Mes

Si parte proprio dal quadro messo a punto dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico. Guardando al numero di dipendenti pubblici in rapporto al totale dei lavoratori si va dai Paesi scandinavi in cui l’incidenza è pari ad oltre un quarto al Giappone dove invece la percentuale è al 6 per cento. La media Ocse si collocava nel 2017 poco sotto al 20, mentre in Italia siamo al 13,7 per cento, quindi nella fascia bassa. Ancora più interessante però è vedere come si è arrivati a questa situazione: sempre secondo l’Ocse, il nostro Paese è il quinto tra tutti quelli dell’organizzazione per riduzione dell’incidenza del personale pubblico sul totale, con un calo percentuale del 7,4. Misurando la contrazione sul numero assoluto di dipendenti tra il 2001 e il 2018 (un calcolo che ingloba anche la lieve ripresa che si è registrata nella prima metà degli anni Duemila) la variazione percentuale negativa è del dieci per cento.



Ovvero 350 mila persone in meno, con un calo più accentuato nel periodo che va dal 2008 al 2012; mentre negli anni successivi la riforma pensionistica e un blocco del turn over basato sulla spesa per retribuzioni piuttosto che sul numero di lavoratori hanno contributo ad attenuare la tendenza. Vistose le conseguenze sull’età media del personale, che nel complesso della pubblica amministrazione è passata dai 43,5 anni del 2001 ai 50,7 del 2018. Fin qui il fenomeno potrebbe essere archiviato nella casella degli effetti del rigore economico e della necessità di contenere la spesa pubblica. Ma l’autrice dello studio evidenzia come la riduzione non sia stata omogenea nel Paese, sia che si guardi alle aree geografiche sia ai settori. Università, ministeri ed enti territoriali sono i comparti in cui i tagli si sono fatti sentire di più, con percentuali vicine al venti per cento.

Se poi si osserva cosa è successo nelle Regioni, saltano agli occhi le differenze. Solo in Trentino-Alto Adige, dove lo statuto speciale lascia agli amministratori ampia autonomia finanziaria, c’è stato un aumento dei dipendenti, mentre dalla parte opposta della graduatoria Campania e Molise hanno sperimentato riduzioni di circa il 15 per cento. In generale i territori meridionali (con l’eccezione della Sardegna) sono quelli che evidenziano cali più visibili. Una circostanza che si spiega con la concomitanza di due fattori: le norme nazionali che hanno imposto severi limiti al turn over (la sostituzione dei dipendenti che vanno in pensione) e la situazione specifica degli enti territoriali del Sud, che essendo più indebitati avevano strettissimi vincoli finanziari.

Tutto ciò ha in parte modificato la situazione precedente, che vedeva una maggiore presenza di dipendenti pubblici al Mezzogiorno rispetto al Nord: dagli oltre 57 lavoratori per mille abitanti contro 50 nel 2007 si è passati a 53 contro 49. La distanza insomma si è quasi dimezzata (al Centro l’incidenza è più alta per la presenza del governo). Il quadro generale nasconde comunque alcune differenze significative: la densità del personale sanitario ad esempio è significativamente più bassa in quattro Regioni meridionali (Campania, Sicilia, Puglia e Molise a cui si aggiunge per la verità il Lazio) con meno di 9,4 dipendenti per mille abitanti; la Toscana e alcune Regioni del Nord sono sopra il 13,5 per mille. E un quadro in parte simile (in relazione al numero degli studenti) è quello delle università.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA