Trieste, uccise due poliziotti in questura: Meran assolto. La sentenza: «Non è imputabile»

Trieste, uccise due poliziotti: Meran assolto. La sentenza: «Non è imputabile»
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Venerdì 6 Maggio 2022, 21:16 - Ultimo aggiornamento: 8 Maggio, 11:07

La sentenza del processo per la sparatoria di Trieste, dove sono rimasti uccisi gli agenti Matteo Demenego e Pierluigi Rotta lo scorso 4 ottobre 2019, ha assolto l'imputato Meran perché ritenuto non imputabile. Il dispositivo è stato letto dalla Corte d'Assise di Trieste questa sera, dopo oltre 3 ore di Camera di Consiglio. Meran, di origini dominicane, era accusato di aver ucciso gli agenti Matteo Demenego e Pierluigi Rotta durante una sparatoria in Questura a Trieste il 4 ottobre 2019. Nei suoi confronti sarà applicata una misura di sicurezza detentiva del ricovero in una una Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) per la durata minima di 30 anni.

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«Un processo vergognoso, un verdetto vergognoso.

Mi vergogno di essere italiano», le poche parole del padre di Demenego, Fabio. Momenti di concitazione, poi nell'abbandonare l'aula quando, a quanto si apprende, il fratello di Demenego avrebbe spintonato la difesa. «La decisione - così il procuratore capo, Antonio De Nicolo - è il risultato di ciò che gli elementi processuali portavano a ritenere. Non è che sono sono soddisfattissimo, perché mi rendo conto che questa è una tragedia che termina lasciando l'amaro in bocca su tanti, ma questa è la conclusione necessitata dalla norme che abbiamo».

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Pm: «Chiesta assoluzione non a cuor leggero»

Questa mattina a chiedere l'assoluzione dell'imputato, «e non a cuor leggero», era stata per prima la pm Federica Riolino, al termine di quasi un'ora di requisitoria. Alla base della richiesta, tra le altre cose, gli esiti della perizia psichiatrica richiesta dalla Corte, secondo la quale «all'epoca dei fatti Meran era già schizofrenico»: esclusa «totalmente la sua capacità di volere». Nell'arringa finale la difesa, rappresentata dagli avvocati Paolo e Alice Bevilacqua, aveva insistito proprio sulla «totale infermità»: «Il nostro grido va alle istituzioni» e alla «fallacia» registrata nella gestione della malattia, aveva detto Paolo Bevilacqua. Dalle parti civili era arrivata, univoca, invece la richiesta di condanna.

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Pronto l'appello

«Proporremo immediatamente una istanza al procuratore generale presso la corte d'appello» affinché possa procedere «lui ad appellare la sentenza di assoluzione, poiché è ovvio che la Procura che ha chiesto l'assoluzione non proporrà sicuramente appello alla sentenza», hanno sottolineato Valter Biscotti e Ilaria Pignattini, che rappresentano Fervicredo, lasciando l'aula. I fatti. È il pomeriggio del 4 ottobre 2019. Meran, come ricostruisce la Polizia, viene accompagnato da alcuni agenti in Questura per il furto di un motorino. Con lui, che soffre di disturbi psichici, il fratello e la madre. Alejandro chiede di andare in bagno: quando esce riesce a impossessarsi della pistola di Rotta e lo ferisce a morte. Uditi gli spari Demenego accorre e a sua volta viene colpito e ucciso. Accade tutto in pochi minuti. Alejandro tenta di imboccare le scale ai piani superiori sparando ad alcuni agenti. Poi desiste e cerca di guadagnare l'uscita attraversando l'atrio, impugnando entrambe le pistole e sparando contro gli agenti del corpo di guardia che rispondono: uno di loro viene ferito. Fuori sarà fermato. La città è sotto shock, il Paese si chiude nel dolore. Meran oggi è detenuto nel carcere di Verona, reparto infermieristica. Non è mai intervenuto in aula. A inizio processo, nella sua lettera di rinuncia a comparire, aveva chiesto «scusa per i fatti gravi».

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