Massimo Antonelli: «È una guerra di trincea, le donazioni salvano vite»

Massimo Antonelli: «È una guerra di trincea, le donazioni salvano vite»
di Simone Canettieri
3 Minuti di Lettura
Sabato 28 Marzo 2020, 09:43 - Ultimo aggiornamento: 09:47

Massimo Antonelli è il direttore di terapia intensiva Covid al policlinico Gemelli. La prima linea, il fronte dove spesso uomini e donne non ce la fanno. In questi giorni gli sta capitando di fare i conti con le storie dei malati. Che poi spesso si intrecciano con la sua. Una collega del professore ha entrambi i suoceri ricoverati, uno di questi è morto nei giorni scorsi, l'altro lotta. E la dottoressa continua a venire a lavorare. «E di storie così, appunto, ce ne sono tantissime. Troppe. Ma dobbiamo guardare avanti, ecco perché l'aiuto di tutti, a partire da quello del vostro giornale, ci dà una grandissima forza. A Roma e nel Lazio il flusso di malati continua a essere costante con crescita lineare è di una certa intensità. Prevalgono gli interventi ovviamente sui pazienti più gravi. Abbiamo circa 20 ricoveri al giorno, ma sono numeri costanti. La situazione inizia a saturarsi. Al momento abbiamo 52 pazienti in terapia intensiva».

Professor Antonelli, fino a quando la situazione nella Capitale potrà dirsi sotto controllo?
«La nostra fortuna, se così si può chiamare, è quella di aver avuto a che fare in ritardo, rispetto al Nord, con il virus. Altrimenti, come sta succedendo a tanti miei colleghi in Lombardia o in Veneto saremmo stati travolti anche noi dall'emergenza».

Si è mossa in questi giorni la macchina degli aiuti e della solidarietà. Anche il Messaggero sta facendo la sua parte. Quali sono le vostre priorità?
«Le donazioni in denaro sono fondamentali per l'acquisto di macchinari. Dal banale, che banale non è, ecografo, ai ventilatori. L'apertura di nuovi posti letto è legata alla reperibilità dei ventilatori, per esempio, è in questa fase stiamo rigenerando diversi macchinari. Non stiamo lasciando niente di intentato, le stanze sono state trasformate in tempo straordinario. Rispetto al Nord abbiamo avuto il vantaggio di avere avuto più giorni per prepararci».

Per evitare di dover scegliere chi salvare?
«Questo è un incubo che molti miei amici e colleghi del Nord stanno vivendo. Una rincorsa quotidiana verso la vita contro la morte».

Riesce a vedere la luce in fondo al tunnel della corsia?
«Torneremo ad abbracciarci, ma a costo di essere ossessivi ripeto che non bisogna uscire e lavarsi benissimo le mani. Quelle delle miei colleghi sono spaccate, ferite, screpolate».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA