I DEBITI
Pozzi è stato trovato agonizzante nel suo appartamento di via Gian Rinaldo Carli dalla moglie la sera del 5 febbraio 2016. Era sul pavimento, con la testa fratturata e una ferita profonda. In casa tutto era in ordine e non mancava nulla, perciò è stata esclusa la rapina. Una prima ricostruzione lasciava propendere a un incidente, a una caduta mortale conseguenza di un malore, poi però gli investigatori hanno scoperto che la figlia della vittima, 45 anni, aveva accumulato debiti per centinaia di migliaia di euro e che per questo motivo litigava spesso con il padre. Così l’inchiesta punta dritto sull’omicidio. Secondo l’accusa, Simona avrebbe già tentato di uccidere il padre nel 2013 mentre era in vacanza nella bergamasca. La sua colpa sarebbe stata quella di contrastare le spese folli della figlia, che in pochi anni avrebbe dilapidato 800 mila euro del patrimonio familiare, e lei non lo sopportava più. Perciò avrebbe deciso di eliminarlo incaricando in un primo tempo il boss della ’ndrangheta Pasquale Tallarico che poi, in occasione di un successivo arresto nel 2017, avrebbe raccontato tutto agli inquirenti.
LA PORTA CHIUSA A CHIAVE
Simona Pozzi, che nel frattempo ha continuato a gestire il negozio di scarpe del padre ad Affori, si difende negando di essere la mandante o l’assassina, perché - afferma - «non c’è mai stato un omicidio.
Mio padre è morto a causa di un malore. E io sono innocente e perseguitata». Tuttavia il quadro indiziario a suo carico rimane pesante. Le liti fra padre e figlia poco prima dell’omicidio - come dimostrano i messaggi scambiati su Whatsapp - erano frequenti e furibonde, tanto che lei ha confessato all’ex marito di somministrare al padre pensati tranquillanti per tenerlo sempre sedato e renderlo innocuo. Non solo: l’assassino quel pomeriggio del 5 febbraio di due anni fa, dopo aver ucciso, ha chiuso la porta dell’appartamento a chiave. E le uniche due persone ad avere una copia erano la moglie e la figlia.
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