Samira schiaffeggiò il marito in mezzo a una piazza, per questo Mohamed la uccise

Omicidio di Rovigo, gli inquirenti non hanno più dubbi. I fatti risalgono all'11 settembre 2019: 40 giorni dopo la donna sparì nel nulla

Samira El Attar e Mohamed Barbri
di Marina Lucchin
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Giovedì 30 Settembre 2021, 07:35 - Ultimo aggiornamento: 11:43

PADOVA - Due schiaffi ricevuti dalla moglie in mezzo alla piazza, proprio davanti al Comune e a molti passanti. È questa, secondo la corte d'Assise di Rovigo, come si legge nella sentenza, la goccia che ha fatto traboccare il vaso per l'orgoglio già ferito di Mohamed Barbri, il marito di Samira El Attar, la mamma marocchina 43enne di Stanghella (Padova) di cui da due anni non c'è più traccia. Era l'11 settembre 2019: esattamente 40 giorni dopo la donna sparirà nel nulla. Per gli inquirenti non c'è ombra di dubbio: è morta. E ad averla uccisa è il marito. È scritto nero su bianco nelle 86 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado emessa dalla Corte, presieduta da Angelo Risi, il 18 giugno che ha condannato Barbri all'ergastolo per omicidio e occultamento di cadavere. Accuse che l'uomo ha sempre respinto. Ma intercettazioni, testimonianze, dichiarazioni, spostamenti rilevati dal Gps, portati in aula ed esaminati, dicono tutt'altro. Tanto che nelle motivazioni della sentenza si ricostruisce con scarti minimi la cronologia di sangue di quel 21 ottobre 2019: La Corte ritiene che l'omicidio di Samira El Attar si sia consumato all'interno dell'abitazione coniugale di Stanghella, in un intervallo temporale compreso tra le 10 - l'ora in cui la testimone Daniela Cecchinello, sua vicina di casa la vede entrare - e le 12.15, quando il cellulare venne spento.

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LE CONFERME
Ci sono anche le conferme che Samira sia rientrata in casa dopo l'incontro con la vicina che le regalò dell'abbigliamento per la figlia: La presenza all'interno dell'appartamento del pacco di vestiti e del soprabito indossato quel giorno confermano oggettivamente che la vittima fece rientro nella sua abitazione, dalla quale, però, non uscì più. Il fatto che il cellulare di Samira El Attar in questo intervallo sia sempre rimasto agganciato al ripetitore competente su quella abitazione predica inoltre per una sua ininterrotta presenza in casa in tale arco temporale senza che ella sia uscita per recarsi al misterioso colloquio di lavoro di cui Samira non disse nulla, neppure alla madre Malika ma più volte citato, invece da Mohamed.
La Corte è certa che Barbri non si recò al lavoro nel luogo programmato né compì alcuna attività sul retro dell'abitazione, né è dato sapere dove abbia trascorso tale periodo. La sua presenza in casa alle ore 12-12.15 è però stata constata dalla vicina Fatima al suo rientro a casa quando lo sentì scendere le scale prima di andare a prendere la figlia all'asilo. 
Ma come è stata uccisa la donna? In questo caso non ci sono certezze, ma una tesi è la più probabile: lo strangolamento. L'interno dell'abitazione è stato oggetto di plurimi rilievi scientifici che non hanno evidenziato la presenza di liquidi biologici sospetti si legge nel documento, ma i Ris di Parma, rispondendo a una specifica domanda del Pm Francesco D'Abrosca sulle eventuali tracce provocate da una morte per strangolamento ha chiarito che è difficile trovare tracce riconducibili ad atti del genere. 
I giudici hanno tolto a Barbri anche la patria potestà e lo hanno condannato al ristoro delle parti civili: 300mila euro alla suocera Malika El Abdi, 100mila allo zio di Samira, altrettanti al cognato e 3.500 all'associazione Penelope, che tutela famiglie e amici delle persone scomparse. 
«Per conto mio che assisto Penelope posso dire che eravamo convinti che la motivazione avrebbe ripercorso in maniera puntuale i fatti senza lasciare adito a possibili interpretazioni e ipotesi alternative. E così è stato. L'ennesima conferma del fatto che può ritenersi provato l'omicidio anche senza il ritrovamento del corpo. Siamo molto soddisfatti anche se niente e nessuno riporterà tra noi Samira» ha evidenziato l'avvocato Stefano Tigani, dell'associazione Penelope. Dello stesso tono il commento del legale della famiglia El Attar, Nicodemo Gentile.
Nelle motivazioni della sentenza si ripercorrono tutte le tappe fondamentali dell'indagine: dalla gita notturna lungo il fiume Gorzone, alla denuncia fatta soltanto il giorno dopo, dai teatrali ritrovamenti di oggetti che appartenevano a Samira in luoghi già setacciati dagli inquirenti, fino alla fuga di Barbri in Spagna.

La pubblica accusa, in quello che è stato un processo indiziario, ha puntato tutto ovviamente sul movente: la morbosa gelosia dell'uomo, che aveva portato Barbri a cercare di controllare il cellulare e gli spostamenti della moglie. Oltre a questo c'era l'orgoglio ferito: Samira obbligava il marito a dormire in macchina, non aveva più rapporti sessuali con lui, aveva abortito volontariamente un figlio suo, non gli consentiva di amministrare il denaro della pensione di invalidità della loro bambina e, infine, quei due schiaffoni in piazza, davanti a tutti, 40 giorni prima. Un affronto che Barbri ha rinfacciato alla moglie in un vocale: «Mi picchi e mi schiaffeggi davanti al Comune? Con la gente che si godeva lo spettacolo mentre mi schiaffeggiavi? Non è vergognoso? Non è un peccato? Dai degli schiaffi a tuo marito? Sono grande, non sai quanto, nessun problema, anch'io so cosa devo fare». E gelosia e orgoglio ferito sono un movente così valido per la Corte che questo ha superato la mancanza di prove, del cadavere, dell'arma del delitto e di una confessione anche parziale: è ergastolo. 

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