Salone del libro, rivolta contro l'editore di estrema destra, quando la censura diventa "democratica"

Salone del libro, rivolta contro l'editore di estrema destra, quando la censura diventa "democratica"
di Mario Ajello
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Martedì 7 Maggio 2019, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 15:19

«No pasaran!». E anche: «Ora e sempre Resistenza!». Il salone del libro di Torino, anche se il partigiano Johnny di Fenoglio non c'è più, diventa la nuova-vecchia trincea contro il fascismo eterno. Accusato di sparare raffiche dallo stand, regolarmente pagato e normalmente accolto con spirito pluralista dal direttore della fiera, Nicola Lagioia, scrittore di sinistra, della casa editrice Altaforte, legata a Casa Pound. Orrore: fascisti che pubblicano libri, e magari (ma non è detto) li leggono. Non stupisce che l'enfant prodige dell'antifascismo militante, il vippissimo-alternativo fumettista Zerocalcare, idolo dei giovani di sinistra, abbia disdetto ogni invito al Salone perché «mai con i fascisti!». E non stupisce nemmeno l'assenza-resistenza, «No al fascismo!», sbandierata dallo storico dell'arte Salvatore Settis (con Tomaso Montanari al seguito) perché del conformismo il Settis è una star e in questo tipo di conformismo non rientra evidentemente il principio che la libertà culturale è un valore irrinunciabile in ogni società liberale e che la fragilità della democrazia (dare la voce a tutti) è ciò che la rende forte e ineguagliabile.

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COMPLESSITA'
E Michela Murgia? «Istruzioni per diventare fascisti» è il suo, si fa per dire, capolavoro, e Pasolini o Sciascia (la felicissima formula, che trova conferma in questa vicenda, è attribuita a entrambi) magari l'avrebbero inserita nella categoria del «fascismo degli anti-fascisti» visto che anche la scrittrice sarda contesta la presenza degli editori Altaforte ma vuole andargli a gridare in faccia il suo disgusto. E «al Salone del Libro ci sarò, non lasciamolo ai fascisti!». Dunque è più antifascista andare o non andare? Questo il dilemma. Ciò che più stupisce, nella truppa dei neo-resistenziali, guidati da Wu Ming 1 («Mai con i neri!», proclama in modalità Volante rossa lo scrittore cult), è lo sdegnoso forfait di Carlo Ginzburg, uno degli storici più riveriti al mondo, figlio di Leone e Natalia Ginzburg. Che un super-sapiente così non conosca Voltaire il quale diceva che «la censura è la cosa più stupida del mondo»? Impossibile. Eppure di censura si tratta, a dispetto del principio per cui le idee devono circolare tutte e se qualcuno fa apologia di fascismo o di razzismo va perseguito con le leggi ad hoc, la Sturzo e la Mancino, e per il resto, al netto di reati, ognuno è libero di parlare e di stampare libri. Anche quelli brutti e non condivisibili, come molti presumono che sia il volume su Salvini proposto dall'editrice vicina a Casa Pound. E ancora. Stupisce che una figura del suo calibro meritato e indiscusso, e stiamo parlando sempre di Ginzburg, sottile indagatore di indizi, di paradigmi, di tracce nascoste e di importanti complessità, non riesca a capire che nella democrazia c'è qualcosa di profondo e in questa profondità rientra il fatto che non ci si può comportare chiudendo le porte al pensiero degli altri. Ma è tipico di grandi personaggi saper vedere bene da lontano, addentrandosi nella storia con «Occhiacci di legno» (titolo di un suo saggio, e il sottotitolo: «Nove riflessioni sulla distanza»), per perdere di originalità invece alle prese con il contingente. E che fine hanno fatto la prosa delicata e la voce musicale di Roberto Piumini, ottimo raccontatore di fiabe per bambini? Sono state sostituite così: «Serve un antifascismo più diretto e sanguigno, contro il riemergere delle umane pestilenze». Quindi, si rifiuta di andare a Torino a presentare la sua ultima fatica, «Storie per voce quieta». E così via: il presidente dell'Anpi, Carla Nespolo, disdice la sua partecipazione alla kermesse che comincia giovedì. L'Arci è infuriata. E così un pezzo di Pd, guidato dal deputato Fiano, e tutta la sinistra a sinistra dei dem. Mentre a Roberto Polacchi, vicino a Casa Pound, convinto che il Duce sia stato «il migliore statista italiano, l'antifascismo è il vero male italiano» e patron di una casa editrice non fuorilegge che pubblica libri come «La dottrina del fascismo» di Mussolini e Gentile, stanno facendo tutti un gran favore. Perché se verrà fisicamente contestato, avrà tutta la scena per sé. Se non lo contestano, dirà che gli anti-fascisti non sono più quelli di una volta. «Ci aspettiamo di venire attaccati anche dai centri sociali», gongola lui. Ovvero: gli squadristi non siamo certo noi. Ma quelli dimentichi del fatto che la cultura si nutre anche delle idee dei fascisti (non bisognerebbe ammettere Mondadori e Neri Pozza che hanno pubblicato Ezra Pound? Via Corbaccio ed Einaudi e Guanda che hanno stampato Celine? Fuori Feltrinelli per colpa di Mishima e il Mulino a causa di Drieu La Rochelle?), la conoscenza delle quali può contribuire a superare e a storicizzare quel male. Mentre negare a priori certe idee rischia di risultare una sorta di replica tragicomica del peggio di cui i totalitarismi si sono fatti vanto: l'odio e il fuoco per i libri dannati.

REVIVAL
E pensare che la lotta contro la censura, nel cinema per esempio al tempo in cui i democristiani erano fin troppo occhiuti o quando Vitaliano Brancati si scagliava con un libello contro il «Ritorno alla censura» nell'Italia bigotta ha rappresentato uno dei capitoli migliori del progressismo nel nostro Paese. Basterebbe, contro lo stanco revival resistenziale, tornare ai fondamentali. A Benedetto Croce che diceva: «La mia religione della libertà mi induce ad aborrire qualsiasi comportamento che violi non solo la mia libertà d'opinione ma anche quella altrui». O alla semplice constatazione che la democrazia moderna non è sostanziale, è fatta di procedure (per esempio quella di non si può silenziare nessuno che non infranga le leggi) e, se non le segui, a svalutare la democrazia sei tu. Anche se ti credi migliore degli altri.
 

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