Strage di Erba, Rosa e Olindo innocenti? Spuntano nuovi testimoni: «In quella casa soldi e droga, è stato un regolamento tra bande»

E' un uomo tunisino, finito in un'inchiesta della Guardia di finanza e legato in affari con il fratello di Azouz Marzouk (compagno e padre di due delle vittime)

Strage di Erba, Rosa e Olindo innocenti? Spuntano nuovi testimoni: «In quella casa soldi e droga, è stato un regolamento tra bande»
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Domenica 16 Aprile 2023, 11:22 - Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 06:15

La difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all'ergastolo per la strage di Erba, quando depositerà istanza di revisione del processo presenterà «più di un nuovo testimone». Lo ha spiegato all'ANSA l'avvocato Fabio Schembi, legale della coppia insieme a Nico D'Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello. Uno «mai sentito all'epoca dei fatti» è un uomo che «risiedeva nella casa della strage, poi arrestato per traffico internazionale di stupefacenti che faceva parte dei fratelli di Azouz» Marzouk, il marito di Raffaella Campagna, una delle quattro persone uccise l'11 dicembre 2006, fra cui il figlio di due anni Youssef. «Ha riferito di una faida con un gruppo rivale, nella quale anche lui è stato ferito con un'arma da taglio» e inoltre ha detto che la casa della strage «era la base dello spaccio che veniva effettuato nella vicina piazza del mercato e il posto dove erano depositati gli incassi». Altro testimone, ha aggiunto l'avvocato, è «un ex carabiniere che riferisce delle indagini e delle parte mancanti del 50% dei momenti topici delle intercettazioni».

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Regolamento di conti tra bande

Dopo la sentenza della Cassazione, arrivata il 4 maggio del 2011, gli avvocati hanno lavorato a lungo - con un pool di esperti - per cercare di ribaltare una condanna su cui nessuno dei giudici ha mai espresso un dubbio.

Le indagini difensive hanno portato a rintracciare, pochi mesi fa, un uomo tunisino, finito in un'inchiesta della Guardia di finanza e legato in affari con il fratello di Azouz Marzouk (compagno e padre di due delle vittime), il quale avrebbe offerto una pista alternativa: un regolamento di conti tra bande rivali, legato al mercato dello spaccio, che sarebbe sfociato nell'agguato all'interno dell'appartamento di via Diaz in cui, secondo il suo racconto, venivano nascosti droga e soldi.

 

Le prove smontate

Un elemento che, insieme alle presunte incongruenze e anomalie di un'indagine, porta la difesa a provare a smontare - dopo quasi 17 anni dai fatti - le tre prove (le confessioni dei coniugi, le parole del testimone che riconosce Olindo e la macchia di sangue della Cherubini nell'auto della coppia) che costringono in carcere i coniugi Romano. Un lavoro che si è servito degli strumenti offerti dai progressi della scienza e della tecnologia e che sono riassunti in due corpose consulenze multidisciplinari e una consulenza biologico-genetica forense. «Ogni singolo elemento di prova non regge e ora i nuovi elementi raccolti vanno a intaccare la condanna» spiega Schembri all'Adnkronos. I legali ripropongono testimonianze, verbali, rilievi, audio e video da sempre presenti nell'inchiesta, ma a loro dire, mai davvero analizzati, valorizzati o compresi fino in fondo.

La testimonianza di Frigerio

Si parte dal ricostruire le versioni di Frigerio che passa dal non ricordare, a offrire l'identikit di uno sconosciuto con la pelle olivastra per poi puntare il dito sul noto vicino di casa. Una memoria falsata, così come «false», indotte, sono le confessioni di Olindo e Rosa. Nella corposa documentazione dei legali c'è un paragrafo dedicato alle intercettazioni 'scomparsè in ospedale e a casa dei coniugi Romano, così come viene messe in discussione, la «genuinità» della macchia di sangue di Valeria Cherubini sul battitacco dell'auto di Olindo. Non convince il modo in cui è stata repertata, così come il risultato. Se su quella traccia ematica finora la difesa ha fatto un atto di fede, ora fa marcia indietro: quella traccia non esiste, «è una suggestione ottica». Ma soprattutto stupisce che in quella 'mattanzà, in quel «bagno di sangue», i due condannati siano riusciti a non lasciare alcuna loro traccia in casa delle vittime e a non 'portarè alcuna traccia nella loro abitazione. In discussione c'è anche la dinamica della morte della Cherubini, che lascia supporre che gli aggressori siano ancora presenti all'arrivo dei primi soccorritori accorsi per spegnere le fiamme. E nella lunga controinchiesta ritornano gli elementi distrutti dopo la sentenza definitiva (su cui la difesa aveva chiesto accertamenti). Le conclusioni dei legali - così come quelle che arriveranno dalla procura generale di Milano - dovranno superare un primo vaglio di ammissibilità da parte dei giudici di Brescia, solo dopo potrebbe essere fissata un'udienza per decidere se il caso va riaperto. 

I fratelli delle vittime: «Per noi i colpevoli sono loro»

«Speravo fosse finita ma ci risiamo»: Pietro Castagna non vuole parlare ancora della strage di Erba, in cui lui ha perso la sorella Raffaella, il nipotino Youssef e la mamma Raffaella, ma su Facebook riposta un testo firmato da lui e dal fratello Giuseppe nel 2018. «Era l'ottobre del 2018, avevo scritto questo. Speravo fosse finita ma ci risiamo. Noi non diremo nulla. Non parleremo più con giornali o altro. Questo era e rimane il nostro pensiero…» premette ripostando il lungo messaggio. «Abbiamo vissuto anni di processi, visto decine di periti, ascoltato centinaia di ore di dibattiti, non dieci minuti di trasmissione tra uno stacchetto della Marcuzzi e l'altro - hanno scritto Beppe e Pietro -, ma davanti a una corte di primo grado a Como, di secondo grado a Milano, una corte di cassazione a Roma in anni di processo, tre gradi di giudizio davanti a 26 giudici, davanti a noi parenti delle vittime». «Premeditazione, movente, confessioni ( che io chiamerei rivendicazioni ), testimone oculare, tracce ematiche - hanno elencato -, intercettazioni, ammissioni annotate in carcere: potreste anche non essere convinti di qualcuna di queste cose, ma non potete credere che tutto sia davvero frutto di un complotto» «Ora, non sta a noi, né difendere la Procura né gli inquirenti né il loro operato, consentiteci di difendere però la verità, che per noi è solo una - hanno ribadito -, consentiteci di essere indignati e increduli nel sentire gente che definisce i colpevoli come innocenti vittime di una giustizia sommaria e faziosa, definiti addirittura come 'un gigante buono e una gracile signorà. Questo gigante buono e questa gracile signora hanno ucciso brutalmente nostra madre, nostra sorella, nostro nipotino, la signora Valeria, hanno tentato di uccidere il signor Mario, spezzando pochi anni dopo la sua vita e e la vita di nostro padre, facendo vivere a me e a Beppe, a Elena e Andrea Frigerio un incubo continuo».

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