«Nessuno ti prepara alla vecchiaia», «L'amore continua ancora». Vita da centenari, il concorso letterario bandito da una casa di riposo vinto da una 95enne

L'eco dei ricordi, l'iniziativa dell'Istituto Suore Riparatrici del Sacro Cuore nel quartiere Trieste a Roma

Roma, premio "L'eco dei ricordi" vinto da una 95enne: le vite dei centenari in un concorso letterario
di Guido Boffo
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Lunedì 27 Febbraio 2023, 00:42 - Ultimo aggiornamento: 12:10

L’eco dei ricordi giunge da lontano nel tempo, persino cento anni. Come certi riflessi della memoria, lenti ma inesorabili. L’Eco dei Ricordi è il titolo di un concorso che merita di essere raccontato, innanzitutto per la sua originalità: ideato in una casa di riposo di Roma, l’Istituto Suore Riparatrici del Sacro Cuore, nell’elegante quartiere Trieste; riservato alle sue ospiti, tutte donne; assegnato ieri pomeriggio, nella sua prima e siamo certi non ultima edizione, ai migliori componimenti, pensieri scritti di propria mano o raccolti nei casi in cui la mano non sia stata in grado. Lo ha pensato Teresa Amendolagine, 86 anni, lei stessa ospite dell’istituto, e prima di esserlo scrittrice, giornalista, figlia di genitori santificati («Ma la santità non si eredita»). Ha un talento speciale per i premi, Teresa. Negli Anni Ottanta ne ha sfornati un paio non banali: il Matilde di Canossa e il premio nazionale delle casalinghe. Ora tocca ai super-vecchi, o come li definisce lei i nuovi-vecchi, categoria di cui si occupano i sociologi e gli economisti, ma raramente gli umanisti. Sappiamo che sono il prodotto di una società che non fa figli ma allunga la vita ai nonni, sappiamo quanto costano alle famiglie e allo Stato, ma non ci spingiamo mai dentro i loro pensieri, le loro emozioni. Per indifferenza e forse per paura. «Perché il bambino attira e l’anziano anziano respinge».

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LA VITA

Ecco, questo premio è un’operazione di recupero, di faticosa e sorprendente emersione. Qualche volta un pugno allo stomaco. Lo sono senza dubbio le parole dettate da Maria (useremo solo nomi di fantasia, per rispetto alla fragilità di queste donne). “Non mi sono mai sentita attratta dalla vita, forse perché sono stata sempre molto esigente verso la vita.

Non sono ingrata. È così da quando sono nata anche se in fondo sono contenta di come è andata... Non ho avuto figli e ancora oggi le incognite che la vita e i figli danno non le accetto. Ora aspetto con serenità quel che avverrà... Sto bene sola”.

I novantenni, i centenari, non hanno bisogno di edulcorare, non inseguono compromessi. Abitano la terra nuda della verità. “Quello che mi brilla nella testa non lo so neanch’io. La vita non mi è piaciuta. I figli non mi hanno abbandonato”. C’è un’eco di Pamuk (La stranezza che ho nella testa) in questa epigrafe.

La confusione è una condizione naturale. «Più che confusione è un senso di vuoto», spiega Teresa. «Tu non confondi, dimentichi. Io dico che è come l’olio che scivola. Cosa lascia dietro di sè l’olio che scivola? Qualcosa di inafferrabile». Ma la vita non torna solo sotto forma di delusione o resa. «La vita è bella», una riga netta quella che Olga traccia nel crepuscolo di un’esistenza che le ha regalato bellezza, un’attività appagante - la gestione di una casa di moda, dalle parti di via Veneto -, ma anche la malattia della figlia, la perdita del marito, e ora il Parkinson.

Oppure la vita è profumata, come nel caso di una ex rappresentante di fragranze della Guerlain, ora esteta 92enne. “Mio padre era scultore, mi ha detto che la bellezza è il profumo della vita e io l’ho seguito“.

LA FAMIGLIA

I figli non mi hanno abbandonato. L’atto assolutorio svela una realtà scomoda da ammettere, rapporti spesso complicati, talvolta traumatizzati. «Il senso di abbandono esiste», dice Teresa. «La persona anziana comincia ad avere figli a loro volta di età avanzata, li sento qualche volta lamentarsi: sono stanco anch’io. I figli sono presenti nelle incombenze - la retta da pagare - o nelle emergenze - la caduta -, ma la visita settimanale, quando va bene, è insufficiente. I nuovi vecchi non hanno bisogno solo di qualcuno che li accudisca e gli ricordi di prendere la medicina, hanno bisogno di una vera assistenza affettiva. Di una carezza, di una parola in più, di gentilezza, di comprensione. Bisogna pensare a figure specializzate, formarle, a psicologi della quarta età. Perché noi ci sentiamo in un deposito». La famiglia, il suo nucleo originario, il senso della perdita e quello della colpa, è al centro del componimento a cui i giurati hanno assegnato il primo premio. Un messaggio straordinariamente anticonvenzionale di una 95enne.

“Non riesco a pensare altro che a mio marito, alla nostra vita. Eppure ho perso da tre anni due figli e mi sento in colpa perché il dolore della loro perdita sta da una parte e dovrebbe essere al primo posto. È come se l’amore continuasse ancora e credo che il vero amore sia proprio questo formato dal cuore e dalla sessualità. Quello per i figli è forte ma è un’altra cosa”.

Strappare la sessualità dall’oblio, farle risalire la corrente degli anni, riconoscerla, questa è la vera modernità di una centenaria. «Anche qui dentro ci sono vedove o donne che non sono state sposate, ma che restano visceralmente legate al loro uomo», racconta Teresa. «Un buon amore, un vero amore, le accompagna fino alla fine. Ritorna sempre. C’è una francese che ci invita in stanza, davanti al ritratto di suo marito. Quant’è bello, dice, io sono ancora innamorata». L’altro polo memoriale sono i genitori. Liliana gli dedica una preghiera laica. “Grazie per papà, per il suo equilibrio, la sua mitezza, la sua bontà, perché mi ha insegnato l’onestà senza alzare mai la voce... Grazie, o mio Dio, per la mamma, per la sua esuberanza, la sua eterna giovinezza...“. È mancata pochi giorni fa. «Prima di morire ha detto alla madre superiora: vai nel cassetto della scrivania, prendi il foglio e daglielo».

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IL DOPO

Può sembrare un paradosso, ma la morte è un tema marginale. “Il mio primo pensiero del mio dopo, spero che sia... E quindi uscimmo a rivedere le stelle”. La citazione è dantesca, l’ultimo verso dell’Inferno.

Non c’è nessuna fretta, nemmeno nell’autrice. «Ha 93 anni, ed è una di quelle che quando si parla di morte è quasi infastidita: per carità! La maggioranza di loro si tacita». Per Teresa è diverso: «La morte mi incuriosisce». Ha una testa brillante, lucidissima. È riuscita a trasformare una casa di riposo in un esperienza esistenzialista. Ha risvegliato qualcosa. O moltissimo. In qualcuna la speranza, quasi un imprevisto. “...Mi piacerebbe avere qui ancora un futuro e sto cercando di organizzarmi per potermi sentire viva... Mi piacerebbe aggregarmi ad altre persone per discutere e parlare di come migliorare la nostra vita. Insomma, ancora ho molte speranze...“. Sostiene Teresa che «poche accettano la propria condizione come inevitabile. Qualsiasi cosa capiti al proprio corpo, faticano a farsene una ragione. Se una mattina ti svegli e ti fa male una gamba non è colpa di nessuno. Non sei caduto, non ti hanno picchiato. Però ti svegli lo stesso con questa gamba che non funziona più e pretendi che qualcuno rimetta a posto le cose. Dalle mani cadono gli oggetti a terra e si seccano. Perché? Continuano a ripetere. La verità è che nessuno prepara alla vecchiaia».

LA MEMORIA

C’è chi l’ha ingabbiata nel presente, come la commerciante siciliana che a 95 anni viene accompagnata dalla badante nella merceria di piazza Quadrata di cui era stata proprietaria. “Il negozio è stato la mia vita, e ancora ci vado sempre e la gente mi conosce e io ne vado orgogliosa”.

C’è la hostess che ha vivido il ricordo del primo volo di lungo raggio con Alitalia, nel 1955: destinazione Caracas, con cambio dell’equipaggio all’Isola del Sale. “Il Comandante siede a capo tavola, alla sua destra il primo Ufficiale, a seguire motorista, macchinista e i due assistenti. Io, novellina mi siedo in fondo, di fronte al Comandante. Il primo assistente con garbo mi dice che è buona regola non sedersi mai a capo tavola. Obbedisco e cambio posto”.

C’è la reduce dai bombardamenti del luglio ‘43 a San Lorenzo. “La scuola sembrava un grosso pane di burro tagliato a metà. Quando potei andare a vederlo, tutte le mia antipatie alla scuola scomparvero. E mi misi a piangere“. E c’è la coreana di 90 anni. “Non c’è parola per esprimere quello che ha sentito il mio cuore: ho visto su una piccola barca tutta la mia famiglia, mamma, papà, tre sorelle e due fratelli. Io, più grande, avevo 16 anni. Ero fuggita dalla Corea del Nord a quella del Sud cercando la libertà”. Questo concorso assomiglia a quella barca. Le ha traghettate fuori dal deposito. 

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