Addio a Roberto Martinelli, inventore della moderna cronaca giudiziaria

Addio a Roberto Martinelli, inventore della moderna cronaca giudiziaria
di Paolo Graldi
3 Minuti di Lettura
Sabato 29 Dicembre 2018, 11:34 - Ultimo aggiornamento: 20:55
Un Maestro. Un grande giornalista. Detestava l'uso delle iperboli specie se in articulo mortis.
Non si sentiva e non voleva essere un Maestro di giornalismo: infatti lo era suo malgrado, da tutti riconosciuto come il principe dei cronisti giudiziari.

Quando glielo dicevano, magari calcando per l'infinitesima volta i sampietrini di palazzo di Giustizia, si schermiva.
A modo suo, tradotto e depurato, mandava tutti a quel paese. Il suo celeberrimo vaffa.
Lo scandiva sorridendo, irridente, con un candore abbagliante perché lui respirava ironia ed era impermeabile alla piaggeria. Non dava lezioni, Roberto Martinelli, le impartiva con l'esempio, il comportamento, con una rettitudine incrollabile in tempi di forti tentazioni carrieristiche.

Martinelli ha fatto carriera soprattutto nel giudizio dei suoi colleghi, e poi dei lettori. Dapprima al Giorno, poi a lungo al Corriere della Sera anche come vice direttore con Alberto Cavallari e infine come editorialista del Messaggero, esperto di materie giuridiche. Memorabili i suoi scoop: tra gli altri il reportage da san Pietro, nascosto in un confessionale per una notte, davanti al catafalco di Pio XII e, travestito da nobile romano in tight, in carcere con Giovanni XXIII, in visita privata.

Roberto Martinelli incarnò il suo credo: «Qui, da noi, è la notizia che comanda: è la nostra regina. A lei siate fedeli.»
Veniva da una famiglia di magistrati, di giuristi.
Si diceva che gli scorresse non il sangue ma il codice di procedura penale nelle vene.
Sapeva di impersonare un modo nuovo di rappresentare la cronaca giudiziaria, un genere che appassionava fino a dividere l'opinione pubblica.

DOPO TANGENTOPOLI
Solo più tardi, con i politici che sono stati convocati dai giudici perché chiamati per rispondere di accuse nella terremotata stagione di Tangentopoli, la giudiziaria si è imposta su tutto il resto dell'informazione.
I giornali erano invasi dal racconto delle vicende oscure e occulte di un Paese attraversato da tentativi di golpe, ferito a sangue e a lungo dall'eversione rossa e nera, dallo stragismo mafioso più spietato e velenoso.
Una fatica immane, ma non inutile, quella di cercare di capire, scavare, spiegare, andare oltre una cortina fumogena di giochi d'artificio diffusa per creare quelli che Roberto chiamava «i porti delle nebbie».

Diceva che «la Giustizia non ha padroni, ha solo la legge e a quella risponde»: utilizzava il suo verbo con una passione quasi smodata, ossessiva, senza risparmio di energie, trasmettendo con l'esempio un codice etico di pietra dura. La sua scrittura era nervosa, a scatti, colta ed informata.
La materia non mancava e dunque si discuteva sempre.
Materia incandescente che ha trasferito in alcuni libri su eversione, mafia, corruzione, come Il Delitto Moro, con Padellaro e le molte lezioni in diversi atenei.

ANTI-DIVO
Mai soddisfatto, sempre critico, quasi scorbutico e insieme allegro, scanzonato, lieve come chi sa di avere un passo svelto e leggero dentro insidie infinite, Martinelli era un anti-divo del giornalismo come lo si intende oggi: se appariva in tv non era mai per farsi vedere ma per aggiungere qualcosa, schiaffeggiare i luoghi comuni, contestare leggi potenzialmente liberticide.
S'accalorava contro chi utilizza l'arma della querela per intimidire i giornalisti, la libertà di stampa era il suo pane, qualche volta offerto raffermo e durante convegni, dibattiti e anche zuffe dai toni alti e aspri spesso si congedava dai presenti insalutato ospite.
La sua cifra di personaggio ha lasciato in molti cronisti una impronta profonda. Ruvido come le notizie che trattava, quasi le scrivesse sulla cartavetrata, di certo su carta stropicciata dalla passione, Roberto Martinelli, se ne è andato sopportando con ironica stizza una malattia che lo ha prosciugato, con accanto la moglie Ada e i quattro figli: «le più belle notizie della mia vita».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA