Rigopiano, il cuoco sopravvissuto: «Viviamo ancora l'incubo, da allora mai più in vacanza»

Rigopiano, il cuoco sopravvissuto: «Viviamo ancora l'incubo, da allora mai più in vacanza»
di Alessandra Di Filippo e Giovanni Sgardi
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Venerdì 17 Gennaio 2020, 08:15 - Ultimo aggiornamento: 10:01

«Da quel buio non siamo mai usciti del tutto, da quel 18 gennaio 2017 non siamo più sereni». Così Giampiero Parete, il cuoco pescarese sopravvissuto insieme alla moglie Adriana e ai figli Ludovica e Gianfilippo, di 9 e 11 anni alla tragedia dell'hotel Rigopiano. Domani saranno passati tre anni dalla valanga che ha distrutto il resort uccidendo 29 tra ospiti e lavoratori. Parete fu il primo a lanciare l'allarme, a chiamare i soccorsi dopo aver visto crollare davanti a suoi occhi l'albergo, all'interno del quale c'erano i suoi familiari. Un allarme rimasto inascoltato per ore. L'anniversario, per Giampiero Parete, è rivivere lo choc.

Lei e la sua famiglia come state oggi?
«Le cose vanno meglio. Ma non è più come una volta. D'allora non abbiamo fatto più vacanze. Non ce la sentiamo. Sicuramente non andremo più a fare una settimana bianca».

Ludovica e Gianfilippo come hanno reagito allora e come stanno oggi?
«La neve che prima amavano come tutti i bambini ora non la vogliono più vedere. Hanno paura. Sono traumatizzati e non solo dalla neve. Quando ci è capitato di dover andare per qualche giorno fuori città, non in ferie, mi hanno chiesto: Papà, ma dobbiamo per forza andare in un albergo? ed ancora Papà, ma sei sicuro che sia abbastanza resistente? Volevano essere rassicurati sul fatto che non crollasse, che le strutture fossero solide. Prima della tragedia, era invece tutta un'altra cosa. Non vedevano l'ora di andare in vacanza e di poter soggiornare in un albergo. Ecco, questo è ciò che viviamo oggi. Il mese di gennaio poi per tutti noi è il periodo peggiore dell'anno, in cui affiorano alla memoria tanti ricordi negativi. E' una specie di tabù».

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Come andate avanti? Come cercate di affrontare questi traumi?
«Stiamo seguendo delle terapie. Siamo seguiti da uno psicologo, da cui ci rechiamo una volta a settimana. E lì torniamo con la memoria a quei giorni del 2017».

Lei è sempre presente in Tribunale in occasione delle udienze relative all'inchiesta sulla tragedia. Dalla giustizia cosa si aspetta, anche alla luce di quanto ultimamente sta emergendo?
«Sono fiducioso. Credo che la verità verrà fuori, anche se ci vorrà del tempo. Credo nel lavoro degli inquirenti. Io non mi espongo molto. Non parlo in generale perché mi reputo l'ultima ruota del carro. Nel senso che ci sono persone che hanno perso genitori, figli, fratelli, sorelle. Io invece ho a casa tutti i miei cari. Nutro un profondo rispetto per loro e soprattutto per coloro che non ci sono più. Gente che ho conosciuto, con cui ho parlato e con cui ho vissuto il loro ultimo giorno. È un peso che mi porterò per sempre. Come ho detto tante volte, mi sento un miracolato».
 



Domani per lei e la sua famiglia che giornata sarà?
«La giornata che ha ci ha cambiato per sempre. Sarò di sicuro a Rigopiano per partecipare alla messa in ricordo delle 29 vittime, a cui il mio pensiero va costantemente».

Dopo poco più di un anno dal disastro, lei e sua moglie Adriana avete scritto un libro, raccontando la storia della vostra famiglia sotto la valanga.
«Da tutto quello che è successo spiega - ho imparato quanto è difficile svegliarsi ogni mattina oppressi dall'obbligo di ringraziare Dio, spaventati dalla prospettiva di incrociare lo sguardo di qualcuno che magari là sotto ci ha lasciato la madre o un figlio, oppure angosciati dall'unica vera domanda che continuo a farmi ogni volta che ripenso a quella montagna: perché noi?».
 
 

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