Rigopiano, la neve che copre le macerie: 5 anni dopo nulla è cambiato

I resti dell’hotel devastato sono ancora lì: quello che era un paradiso resta un cimitero

Rigopiano, la neve che copre le macerie: 5 anni dopo nulla è cambiato
di Stefano Dascoli
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Sabato 15 Gennaio 2022, 00:07

RIGOPIANO - «Farindola… l’Hotel Rigopiano non c’è più, è crollato tutto». Sono le 17.09 del 18 gennaio 2017. La voce di Giampiero Parete gracchia al cellulare, si intuisce a malapena. L’operatrice del 118 di Pescara riesce comunque a captare le parole decisive, ma non basterà. Poco prima, alle 16.41, una valanga si è staccata da Monte Siella, si è incanalata in una sorta di canyon e ha cancellato per sempre il resort e la vita di 29 dei 40 occupanti abbattendosi esattamente sull’albergo, con una forza devastante: oltre cento chilometri orari di ammassi nevosi, macigni, tronchi di albero, terra. Se possano aver influito le scosse di terremoto del mattino, tutte superiori a magnitudo 5, è ancora oggi oggetto di indagine. Sono certi, invece, l’assurdo rimpallo tra centralini delle richieste di aiuto, alcuni dialoghi surreali, il ritardo nei soccorsi, le 12 ore per liberare i 9 chilometri di strada che da Farindola conducono a Rigopiano. E, soprattutto, il dolore, ancora palpabile, di chi tra ghiaccio e macerie ha perso i propri cari e oggi chiede la verità giudiziaria e un luogo del ricordo ancora incastrato in una ottusa burocrazia. Sono trascorsi cinque anni da quel dramma. La strada per arrivare è ghiacciata dalle nevicate di questi giorni. Nulla a che vedere, però, con il muro bianco che si sono trovati davanti, allora, i soccorritori. Il sole trafigge le chiome imbiancate e scioglie la coltre che piomba a terra, frusciando dolcemente. È l’unico accenno di rumore: il silenzio intorno a ciò che resta dell’hotel è irreale. È paradiso della natura, diventato un luogo di morte atroce e inspiegabile. 

IL RITUALE
Pochi metri prima di arrivare, lungo la strada, c’è parcheggiata la “solita” Fiat Panda. È di Nicola Colangeli, papà di Marinella, la responsabile della Spa che qui ha perso la vita a soli trent’anni.

Ogni mattina, da cinque anni, Nicola ripercorre quei nove maledetti chilometri e sale quassù. Passeggia, medita, piange. Imbraccia pala e scopa e toglie la neve dal piccolo simulacro con i volti, le storie, gli oggetti, i ricordi delle 29 vittime. «È più forte di me, la accompagnavo ogni mattina al lavoro, l’ho fatto per nove anni, mi sento “tirato” a venire qui», racconta a singhiozzi. 

C’è una rete a sbarrare l’ingresso dell’hotel. Viene utilizzata come bacheca per chiunque abbia voglia di lasciare qui un pezzo del suo cuore. Un cartello avvisa del sequestro giudiziario. Una poesia ricorda che il fiore più bello di Rigopiano «è stato tradito alle spalle, straziando gli steli di 29 fiori». L’impatto è choccante. Si fa fatica a credere che questo luogo si sia trasformato in una tomba. A sinistra dell’ingresso, proprio sotto il totem che ricorda le quattro stelle del resort, il memoriale: ci sono i volti, le foto, i fiori, i ceri, i cuori. I pensieri. Il dolore. Dietro la rete la sagoma di un’auto, totalmente imbiancata. Nessuno l’ha toccata. 

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MANTO BIANCO
Basta salire qualche metro per avere contezza del disastro. La neve ammanta tutto. Copre e attutisce. Risparmia la vista cruda, ma è un pensiero che non consola. Spuntano, qua e là, gli unici segni di ciò che era. L’ottagono della Spa, alcuni pilastri, qualche costruzione destinata ai servizi rimasta in piedi. Poco, pochissimo. Il grosso è stato rimosso dopo le imponenti operazioni di soccorso e successiva bonifica. Ancora pochi metri più su e la rappresentazione dell’inferno diventa plastica. Si vedono nettamente le tracce della furia della valanga, del canale che l’ha instradata e ingigantita metro dopo metro: sassi enormi, a centinaia, ancora sul percorso. Rami e alberi divelti. Un paesaggio lunare. Luca Labricciosa, vicesindaco di Farindola, racconta che l’enorme fronte aveva una velocità tale da aver saltato persino la sede stradale, piombando direttamente sul resort. In una traiettoria che è diventa beffarda, disegnando un destino atroce solo per l’albergo, non per il parcheggio (che pure qualche “simulazione” indicava come luogo possibile per l’arrivo di una slavina), non per le altre strutture ai margini più esterni. Una furia che ha finito per cambiare persino l’orografia di questo Paradiso. 

AMICI
Daniele Perilli è il presidente del Soccorso alpino regionale. Conosce questi monti da cinquant’anni. Era qui, con la famiglia, otto giorni prima del dramma. Era qui, tra i primissimi, quella notte. Con un peso in più nell’anima: scavare per trovare Roberto Del Rosso, l’amico di una vita, l’uomo che in questo albergo è cresciuto, l’uomo che l’ha trasformato nel resort più amato. «Scavare per cercare persone che si conoscono è ancora più pesante, sapendo che è difficilissimo trovarle vive. L’unica gioia è stata aver tirato fuori i bambini», racconta. Il ritorno a Farindola è carico di dubbi e angosce che il tempo non riesce a lenire. Il sole riscalda la neve, non l’anima. Accanto ai volti degli Angeli, all’ingresso dell’hotel, c’è una scritta: «Mai più». 
 

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