L'inchiesta, che vedeva coinvolti i presunti affiliati ai clan Diomede-Mercante e Capriati di Bari, accusati di associazione mafiosa pluriaggravata, tentato omicidio, rapina, furto, lesioni personali, sequestro di persona e violazioni della sorveglianza speciale, è arrivata in aula il 20 maggio 2019 con rito abbreviato nel Tribunale del capoluogo pugliese. Il nome, “Pandora”, scelto dagli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia di Bari, fa riferimento al nome del mitologico vaso greco in cui sarebbero racchiusi tutti i mali.
Visto l’alto numero di imputati è stato deciso di affidarsi alla tecnologia della videoconferenza e spostare le udienze nell’aula bunker del carcere di Trani predisposto per questo tipo di dibattimento.
Il lavoro di squadra, durato circa tre settimane, ha visto coinvolti gli istituti penitenziari, la Dgsia e l’ufficio multivideoconferenze del Dap coordinato dall’Ispettore Superiore Luigi Chiani, e ha permesso di seguire simultaneamente su 20 monitor gli 88 detenuti, collegati da 27 siti diversi. Numeri mai raggiunti in precedenza. L’udienza camerale (senza pubblico) si è svolta a porte chiuse con la presenza solo di giudici e avvocati. Sull'ampliamento del sistema di videoconferenza nei processi hanno molto insistito il ministro della giustizia Alfonso Bonafede e il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Francesco Basentini.
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