Processi difficili da celebrare, il magistrato Roberto Cavallone: «È la giustizia dei furbetti, serve una vera riforma»

"Intanto molte udienze possono andare avanti a distanza"

Roberto Cavallone
di Valentina Errante
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Mercoledì 15 Febbraio 2023, 07:03

Roberto Cavallone, già procuratore di Sanremo e fino a qualche mese fa sostituto pg in Corte d'Appello a Roma, commenta la notizia con una battuta: «Oramai i processi sono come i videogiochi: è più difficile celebrarli che raggiungere la verità processuale».


I rinvii, dovuti a cavilli e pretesti, non mettono a rischio un processo come quello per la morte Luca Sacchi, ma in altri casi possono garantire l'impunità agli imputati. Quale può essere la via d'uscita?
«Ovviamente, trattandosi di omicidio, non c'è questo rischio. Ma il problema si pone. E soprattutto in secondo grado. Perché con la riforma Cartabia dopo due anni, se il processo d'appello non è stato celebrato scatta l'improcedibilità. Che non è neppure la prescrizione. Ossia lo Stato avrebbe ancora interesse a celebrare il processo, ma i tempi devono essere rapidi. Una norma pensata solo rientrare nei parametri dell'Unione europea. Che prevede quindi la chiusura del processo senza una sentenza. Per questo in corte d'Appello a Roma si celebrano prima processi che riguardano fatti avvenuti dopo la riforma, lasciando indietro gli altri, anche precedenti, che non sono a rischio».


Ma qual è la soluzione?
«La soluzione è celebrare il processo a distanza, come sicuramente avverrà la prossima volta.

Il presidente può firmare un decreto anche fuori udienza. E la prossima volta gli imputati saranno collegati da remoto. La riforma Cartabia ha introdotto alcune modifiche del codice di procedura per cui è previsto che l'imputato possa assistere a distanza. Bisogna predisporre il collegamento».


Ma un cavillo si può sempre trovare.
«Purtroppo fare il processo diventa più importante che riuscire attestare qual sia la verità processuale. Ci sono mille ostacoli, alcuni comprensibili altri incomprensibili. Forse si può trattare di una strategia difensiva per incidere sull'esecuzione cautelare, ma è il solito gioco, ci sono difensori più corretti e altri meno. In tanti sfruttano quest'arma in maniera spregiudicata».


Le riforme non hanno garantito un effettivo miglioramento della situazione.
«Penso che, finora, la politica trasversalmente non abbia operato per migliorare la situazione. Ci sarebbero mille cose da fare per velocizzare la giustizia, ma sembra che nessuno, almeno fino a questo momento, lo abbia davvero voluto».
 

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