Pestaggi in carcere, ex detenuto sulla sedia a rotelle: «Non posso ripensarci, erano tutti con i manganelli»

Pestaggi in carcere, ex detenuto sulla sedia a rotelle accusa la direttrice, poi il dietrofront: «Mi sono confuso, non era lei»
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Giovedì 1 Luglio 2021, 09:39 - Ultimo aggiornamento: 20:12

Tra le tante immagini di detenuti pestati dagli agenti della Penitenziaria nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) il 6 aprile 2020 è quella di Vincenzo Cacace sulla sedia a rotelle ad aver destato probabilmente maggiore indignazione. Cacace, nonostante l'evidente disabilità, durante la violenta perquisizione - pestati quasi 300 detenuti da altrettanti agenti - viene spinto da alcuni poliziotti e colpito più volte con il manganello. «Non posso ripensarci, vado al manicomio. Secondo me erano drogati, erano tutti con i manganelli», dice oggi con tono accorato, come se stesse rivivendo quei terribili momenti, tanto da confondere la funzionaria presente con la direttrice Elisabetta Palmieri, assente per malattia il 6 aprile 2020 e nei giorni successivi. Palmieri ha affermato che «le immagini sono agghiaccianti e hanno ferito e turbato tutti». Lo stesso Cacace accortosi dell'errore si è scusato. «Nella foga del racconto mi sono confuso, ho detto direttrice, ma volevo dire la commissaria», ha poi rettificato.


«Mi hanno distrutto - racconta Cacace - mentalmente mi hanno ucciso. Volevano farci perdere la dignità ma l'abbiamo mantenuta». Nella sua testimonianza choc l'uomo parla di un detenuto abusato con un manganello. E nell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip Sergio Enea, la storia di questo recluso emerge in tutta la sua crudezza; è lui stesso a parlarne, a riferire di essere stato vittima di violenza, di aver cercato l'aiuto del comandante delle guardie Gaetano Manganelli (finito ai domiciliati), rimasto però inerme, e di essersi sentito dire più volte dagli agenti: «oggi qui lo Stato siamo noi».

Santa Maria Capua Vetere, agenti sospesi

I sindacati degli agenti respingono la gogna mediatica e trovano sponde in importanti leader politici: oggi al carcere è arrivato il leader della Lega Matteo Salvini. «Sono qui a ricordare - ha detto - che chi sbaglia paga, soprattutto se indossa una divisa.

Questo però non vuol dire infangare e mettere a rischio la vita di 40mila appartenenti alla polizia penitenziaria che rendono il Paese più sicuro». La partita sulla vicenda carcere si gioca anche a Roma, dove il Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma, ha incontrato a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Nel corso dell'incontro, si apprende da fonti della maggioranza, si è parlato anche della questione di Santa Maria Capua Vetere. C'è poi il ministro Cartabia, che va dritta per la sua strada di rigore, alla ricerca della massima chiarezza nel più breve tempo possibile: il Guardasigilli, dopo aver sospeso ieri i 52 agenti raggiunti dalle misure cautelari (8 in carcere, 18 ai domiciliari, 23 colpiti da misure interdittive e tre da obblighi di dimora), ha convocato infatti per il 15 luglio i provveditori regionali dell'amministrazione penitenziaria, mentre il 7 luglio incontrerà proprio i sindacati degli agenti. Cartabia infatti già ieri ha chiesto approfondimenti e un rapporto a più ampio raggio anche su altri istituti penitenziari.

Pestaggi in carcere: sospesi i 52 agenti. Cartabia: «Tradita la Carta»

Non ci sarà ovviamente nella riunione con i provveditori Antonio Fullone, il responsabile delle carceri campane raggiunto dalla sospensione dal lavoro perché accusato di depistaggio e favoreggiamento; dall'ordinanza cautelare emergono i messaggi scambiati da Fullone anche con l'allora capo Del Dap Basentini, travolto dalle polemiche successive alle scarcerazioni di boss causa emergenza Covid. «Hai fatto benissimo» risponde Basentini a Fullone, che il 6 aprile 2020 lo informa di avere disposto la «perquisizione straordinaria». «Era il minimo per riprendersi l'istituto - scrive in chat Fullone - il personale aveva bisogno di un segnale forte e ho proceduto così...». Ancora dall'analisi delle chat, emergono i messaggi inviati a Fullone dalla direttrice reggente Maria Parenti a fine perquisizione, e relativi alle richieste di notizie che giungevano dall'esterno, dal sindaco di Santa Maria Capua Vetere ai giornalisti. «Anche stamattina - scrive la Parenti a Fullone - mi ha contattato l'ANSA. In tal caso ho precisato che per interviste dovevo essere autorizzata. Però ho colto l'occasione, ormai ho una lingua biforcuta, per invitarli a filtrare ogni notizia in quanto anche la più semplice informazione può in questa fase delicata creare allarmismo... chi ha orecchie, intenda...».

Ira Cartabia: tradita la Costituzione

Saranno tutti sospesi i 52 agenti della Polizia Penitenziaria coinvolti nell' «orribile mattanza», come l'ha definita il gip, avvenuta la sera del 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Non solo. Il Dap sta valutando ulteriori provvedimenti per gli altri poliziotti non destinatari delle misure cautelari. Il ministro della Giustizia Marta Cartabia ha definito «un tradimento della Costituzione» quanto accaduto e chiesto approfondimenti sull'intera catena di responsabilità, esprimendo ferma condanna insieme con il capo del Dap, Bernardo Petralia. Il tutto mentre dagli atti - oltre al video con le botte e le umiliazioni che ha scioccato molti italiani - spunta anche un altro filmato che documenta le percosse inflitte a un giovane detenuto straniero, malato, morto 28 giorni dopo le violenze.

Per Cartabia «di fronte a fatti di una tale gravità non basta una condanna a parole. Occorre attivarsi per comprenderne e rimuoverne le cause, perché fatti così non si ripetano».

Oggi pomeriggio, intanto, a Santa Maria Capua Vetere, è atteso il leader della Lega Matteo Salvini per un incontro con la Penitenziaria: «Chi sbaglia paga - ha detto in una intervista - soprattutto se indossa una divisa, però non si possono coinvolgere tutti i 40mila donne e uomini di polizia penitenziaria e non si possono sbattere in prima pagina con nomi e cognomi. Serve rispetto».

Il senatore dem Cesare Mirabelli lo taccia di «ambiguità», mentre per il segretario del Pd Enrico Letta le immagini dei pestaggi sono «intollerabili» e, soprattutto, «gravissime» in quanto «ascrivibili a chi deve servire lo Stato con lealtà e onore».

Tra i video agli atti dell'inchiesta figura anche quello che ha documentato le violenze inflitte ad un 27enne detenuto algerino affetto da schizofrenia trovato morto in cella il 4 maggio 2020. Lì c'era finito a colpi di manganello trascinato per la maglia, la sera della «perquisizione straordinaria» disposta dopo le proteste del giorno precedente. L'uomo figurava tra i 15 carcerati del reparto Nilo classificati come pericolosi. La sua morte fu, per l'ufficio inquirente guidato dal procuratore Maria Antonietta Troncone, frutto delle violenze subìte quasi un mese prima. Un'ipotesi non sposata però dal gip Sergio Enea che invece ha classificato quel decesso come un suicidio. Il giovane, a detta di molti altri detenuti, assumeva oppiacei, neurolettici e benzodiazepine che gli infermieri gli somministravano affidandosi «a un' inopportuna autogestione terapeutica».

Secondo i carcerati una prassi. E più ne chiedeva, più gliene davano, quando era nel reparto Nilo. Ma in isolamento la somministrazione dei farmaci subì un arresto e lui non faceva altro che lamentarsi, gridare e chiedere aiuto. Era dolorante, alle costole, alle gambe ma soprattutto al capo. Durante il trasferimento sferrò un pugno a uno degli agenti scatenandone la reazione: gli schiacciarono la testa contro il pavimento e, a colpi di bastone venne trascinato in reparto. In cella, per 3-4 giorni, è rimasto su un letto spoglio senza parlare, lo stesso sul quale la mattina del 4 maggio è stato trovato senza vita. «Aveva sempre dolore alla testa e vomitava sangue», hanno riferito alcuni detenuti ascoltati dai pm. La sera prima chiese a un altro carcerato che gli dava un pò di assistenza di salutargli la mamma. Ad ammazzarlo sarebbe stata una quantità tossica di farmaci assunti in rapida successione che avrebbe causato un edema polmonare acuto e poi un infarto. Oggi, intanto, si sono tenuti 9 dei 52 interrogatori di garanzia programmati dal gip Sergio Enea (l'ultimo il 7 luglio). Tre erano in videoconferenza dal carcere: Salvatore Mezzarano, Oreste Salerno e Pasquale De Filippo. Quest'ultimo ha risposto al gip e in un'ora e mezza contestato le accuse che gli sono state mosse. L'ispettore Mezzarano, invece, ritenuto il «co-organizzatore ed esecutore», ha voluto rilasciare una dichiarazione spontanea solo per dire di avere eseguito gli ordini dei superiori. Gli altri si sono tutti avvalsi della facoltà di non rispondere.

Il garante dei detenuti di Napoli: anch'io ho subito quelle cose

 

«Vedere le immagini delle violenze a Santa Maria Capua Vetere mi ha fatto risvegliare vecchi ricordi perché anch'io ho subito quelle cose - ha detto Pietro Ioia, garante dei detenuti di Napoli -. Sono immagini che fanno male, so cosa hanno provato quei ragazzi. Nel 2014 denunciai la cosiddetta 'cella 0'. Abbiamo passato con i familiari dei giorni terribili, di ansia e di angoscia. Ci sono agenti penitenziari che svolgono il loro lavoro in condizioni disumane come i detenuti e quelli che abbiamo visto nei video sono delle mele marce. Spero che la giustizia faccia il suo corso. Anche con i fatti della Diaz c'è stata una sospensione della democrazia e questo avverrà sempre quando ci saranno brutali aggressioni ai danni di persone inermi. Necessaria una riforma della giustizia e delle carceri perché sono luoghi invivibili. Bisogna denunciare sempre le violenze. La politica ha abbandonato questo tema ma il carcere riguarda tutti, nessuno può voltarsi dall'altra parte».

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