Pamela Mastropietro, confermato in appello l'ergastolo per Oseghale

Pamela Mastropietro, confermato l'ergastolo per Oseghale
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Venerdì 16 Ottobre 2020, 20:05 - Ultimo aggiornamento: 20:39

«Bravi, grandi». L'applauso di Alessandra Verni, madre della 18enne Pamela Mastropietro, uccisa e fatta a pezzi il 30 gennaio 2018 a Macerata ha salutato il verdetto della Corte d'assise d'appello di Ancona emesso in serata dopo cinque ore e mezza di camera di consiglio: confermata la condanna all'ergastolo, con isolamento diurno di 18 mesi, per Innocent Oseghale, 32enne pusher nigeriano accusato di omicidio volontario, aggravato dalla violenza sessuale, vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere. 

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Dopo la lettura del dispositivo, da parte del presidente della Corte Giovanni Treré, la madre di Pamela ha esultato, frenata dal proprio legale.

Mentre Oseghale stava uscendo dall'aula, scortato dalla polizia penitenziaria, ha detto ad alta voce: «non l'ho uccisa, va bene, capite tutti italiani». «Ci aspettavamo questa sentenza, vista l'aria che tirava stamattina...», il commento a caldo di uno dei due difensori, l'avv Umberto Gramenzi. La difesa ha annunciato il ricorso in Cassazione perche «si sono verificate delle violazioni di legge». La sentenza è arrivata dopo una lunga udienza dedicata in particolare alle arringhe difensive e alle dichiarazioni spontanee dell'imputato.

 

«Non ho ucciso Pamela», ha ribadito Oseghale ammettendo però quasi impassibile di averne sezionato il corpo per disfarsene perché non entrava in una valigia. «Ero sotto choc, confuso, agitato - ha riferito a proposito del sezionamento del corpo, leggendo un foglio manoscritto tradotto da un interprete dall'inglese - ho fatto una cosa terribile...mi dispiace». Scuse rispedite al mittente prima dal legale della famiglia, avv. Marco Valerio Verni, zio di Pamela, e poi dalla madre della 18enne romana, sempre presente alle udienze. «Le scuse se le può tenere - ha replicato a margine del processo - Ha avuto l'ultima possibilità di raccontare la verità e non l'ha fatto. Non gli credo. Andò a comprare la candeggina con un altro, ci spieghi perché...». Il corpo della giovane venne ritrovato il giorno seguente all'interno di due trolley sul ciglio di una strada a Pollenza, vicino Macerata, dove Oseghale l'aveva lasciato.

Accolta dunque dai giudici la ricostruzione della procura generale, rappresentata dal pg Sergio Sottani e dal sostituto Ernesto Napolillo: Oseghale uccise Pamela con due coltellate al fegato dopo aver consumato con lei un rapporto sessuale, approfittando dello stato di fragilità della ragazza - con doppia diagnosi borderline e di tossicodipendenza - scappata il giorno prima da una comunità terapeutica e che aveva assunto eroina procurata proprio per il tramite di Oseghale. L'omicidio, secondo l'accusa, sarebbe stato il modo per evitare che lei lo denunciasse. In udienza la difesa - anche con l'altro avvocato Simone Matraxia - ha dato battaglia per respingere le accuse di omicidio e violenza sessuale. I difensori hanno contestato le risultanze medico legali e in particolare il fatto che le due ferite da coltello fossero state inferte quando Pamela era in vita.

Il 32enne ha sempre sostenuto che Pamela accusò un malore in casa dopo essersi iniettata eroina e che poi morì: lui, preso dal panico, secondo la sua versione dei fatti, smembrò il corpo solo per disfarsene. Opposta la ricostruzione accusatoria che ha delineato il profilo di Oseghale come di una persona incline a mentire, un «acrobata della menzogna» e con particolari abilità medico legali, tanto da fare a pezzi il corpo con modalità uniche al mondo tra i casi di criminologia. Nessun dubbio, secondo la Procura generale, circa la vitalità delle due ferite da coltello che causarono l'emorragia fatale a Pamela nella mansarda di via Spalato 124.

 

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