«Oseghale ha violentato e fatto a pezzi mia figlia, merita il carcere a vita. Nessuno sconto di pena per chi è arrivato anche a mettere nella candeggina alcune parti del suo corpo». Mancano quattro giorni al processo di Appello bis per l’omicidio di Pamela Mastropietro, la 18enne romana che si è allontanata da una comunità di Corridonia (Macerata), è stata uccisa e i resti sono stati ritrovati chiusi in due trolley a Pollenza il 30 gennaio del 2018. La mamma, Alessandra Verni, da cinque anni è in attesa di una giustizia definitiva, ma durante il processo in Cassazione, i supremi giudici hanno deciso che l’aggravante della violenza sessuale nei confronti dell’unico imputato, Innocent Oseghale, 32 anni, nigeriano, dovesse essere rivalutata. E ora, lei non ci dorme la notte al pensiero che qualche giudice possa dubitare dello stupro e concedere uno sconto di pena all’uomo che ha ucciso sua figlia riducendola in quello stato.
Signora Alessandra, quali sono le sue preoccupazioni in queste ore?
«Non capisco perché si è deciso di risentire un paio di testimoni, come quelli che hanno incontrato mia figlia il giorno prima del delitto. Pamela è stata violentata, non c’è stato alcun consenso al rapporto. E infatti, non è un caso che Oseghale abbia deciso di farla a pezzi e di arrivare a candeggiare le parti intime, proprio per cancellare ogni traccia. La condanna per violenza sessuale c’è già stata in primo e secondo grado e spero venga confermata anche stavolta, ma se l’aggravante dovesse cadere potrebbe esserci uno sconto di pena».
Di recente lei ha scritto tre lettere al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al presidente del consiglio Giorgia Meloni e al ministro della Giustizia Carlo Nordio chiedendo di essere ascoltata.
Cosa sono stati per lei questi ultimi cinque anni?
«Ho cercato di trovare pace nella fede. Credo nel paradiso e immagino che mia figlia sia lì. Nei giorni successivi al delitto, proprio la notte prima dell’udienza di convalida dell’arresto di Oseghale, era il mio compleanno e ho sognato Pamela che mi diceva: “Mamma, non pensare al corpo, io sono viva”. Voleva proteggermi sapendo che durante l’udienza avrei visto le foto del cadavere e di come era stato ridotto. Come si può soltanto pensare di concedere sconti di pena a una persona capace di fare cose così tremende? Non si può insegnare ai nostri giovani che la crudeltà, la violenza e la criminalità sono la normalità e non vengono puniti a dovere. Mi aspetto che la giustizia faccia il suo lavoro per difendere i diritti fondamentali dell’uomo. Pamela merita di averne una definitiva e piena».
Sarà presente all’udienza del 25 gennaio a Perugia?
«Certamente, sarò come sempre in prima fila e so già che Oseghale continuerà a raccontare le sue fesserie, ma non si può permettere che un simile mostro continui a mentire. Lui nega anche di averla uccisa. Ammette, perché non può fare diversamente, di essere stato lui a farla a pezzi».
Dalla morte di sua figlia non si è fermata un attimo.
«Impazzirei se lo facessi. Quindi, nonostante le udienze, gli incontri con gli avvocati e il lavoro, ho studiato e realizzato finalmente il sogno che mia figlia non raggiungerà mai: a Pamela mancavano pochi mesi per poter arrivare finalmente all’agognato “pezzo di carta”. Il 9 settembre del 2020, ho conseguito il diploma in Servizi socio sanitari, l’esame che lei non era riuscita a dare. Voleva fare la criminologa, fare volontariato e aiutare gli altri. Proverò a fare queste cose per lei, per esaudire i suoi desideri, sperando un giorno di poterla finalmente riabbracciare».
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