Dall’olio di semi ai piselli, scorte solo per 30 giorni: la guerra mette in allarme l'alimentare

Per la mancanza del “girasole” molti i settori a rischio, dagli snack ai dolci

Dall’olio di semi ai piselli, scorte solo per 30 giorni: è allarme nell’alimentare
di Carlo Ottaviano
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Sabato 12 Marzo 2022, 00:22 - Ultimo aggiornamento: 13 Marzo, 09:46

Non è come nella prima settimana del lockdown da pandemia Covid, ma molto ci riporta a quel marzo di due anni fa (proprio in questi giorni). Ieri mattina nei supermercati di tutta Italia gli scaffali dedicati a farine e pasta erano mezzi vuoti, lo stesso per gli oli vegetali e per le conserve (principalmente di tonno e altri pesci) che necessitano di olio. Alcune catene della grande distribuzione (come Md) hanno chiesto di non comprare più di due confezioni dei prodotti di cui c’è scarsa disponibilità. Questa volta, però, il problema non è chi fa incetta di cibo, ma la minore produzione delle industrie alimentari, fortemente limitate negli approvvigionamenti di materia prima. Gli industriali del settore sono seriamente preoccupati. 

L’ultimo a lanciare il grido d’allarme è stato ieri Roberto Fiorentini, uno dei leader italiani nel comparto degli snack bio salutistici, che potrebbe fermare già nelle prossime ore lo stabilimento di produzione a Trofarello, alle porte di Torino. Manca l’olio di girasole, in questo momento il problema forse più grave dell’industria di trasformazione alimentare italiana. «E’ un ingrediente – spiega Fiorentini - impiegato in una stragrande varietà di prodotti alimentari, dalle patatine ai panificati, che molte industrie hanno scelto per sostituire il tanto criticato olio di palma. Sostituire ora l’ingrediente significa cambiare la ricetta, e non è una cosa veloce». L’Ucraina con una quota vicina all’80% è il maggiore produttore mondiale di olio di girasole. L’Italia ne importa da Kiev il 63% di quanto ne usa e con la propria produzione (100 mila tonnellate di olio) non copre neanche un decimo del fabbisogno. Il blocco dei porti del Mar Nero, lo stop all’export di grano e mais dai paesi in guerra e l’imprevisto e contestato protezionismo ungherese e bulgaro che hanno bloccato le esportazioni, stanno avendo effetti pesanti su tutta l’industria alimentare italiana (pasta, dolci da forno e allevamenti in primo luogo). 

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IL BLOCCO

Come se non bastasse, le aziende iniziano ad avere carenza di cartone per gli imballaggi, perché produrlo non è più conveniente. «Vendiamo la carta a 680 euro a tonnellata ma per produrla oggi occorrono 750 euro soltanto per il gas», ha spiegato Bruno Zago, presidente del gruppo Pro-Gest di Treviso quando ha deciso di fermare l’attività dei suoi sei stabilimenti in Italia.

Nel settore alimentare non mancano i record dei prezzi a livello mondiale, come nel caso delle polveri di latte e delle uova che si avvicinano pericolosamente ai livelli del 2017, anno della contaminazione da fipronil. Nei prossimi giorni potrebbero anche iniziare a mancare i piselli. L’allarme l’ha dato ieri Aretè, società di analisi dei mercati agricoli. «Nella campagna corrente Russia ed Ucraina – spiega in un suo report - avevano fino ad ora parzialmente compensato la limitata offerta nordamericana». 

Probabili, quindi, aumenti di prezzo dei piselli del 20%. Altri prezzi dell’ortofrutta lievitano invece in modo ingiustificato nei negozi al dettaglio. Ieri mattina, infatti, nei mercati all’ingrosso i commercianti lamentavano (dal loro punto di vista) una flessione delle vendite e conseguentemente dei prezzi. «Il mercato è quasi fermo – ha dichiarato all’agenzia specializzata Italiafruit Giuseppe Zarba, presidente dei concessionari del mercato di Vittoria in Sicilia – anche perché le famiglie decidono di risparmiare sul cibo e invece che acquistare il pomodoro ciliegino, optano per la latta di passata». «Da inizio mese – aggiunge Gianpaolo Forcina, uno dei maggiori operatori della centrale ortofrutticola di Fondi - i mercati si sono bloccati: sono scese le richieste dell’export e le vendite di tutti gli ortaggi in generale, situazione che ha portato ad un abbassamento dei prezzi». Stessa cosa a Nord dove, per esempio al mercato generale di Brescia, i prezzi di molti prodotti sono in calo del 20%. Incredibilmente (e immotivatamente in molti casi), però, lo scontrino della spesa diventa sempre più caro per i consumatori finali. 

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