A Ancora un record negativo delle nascite, per la prima volta sotto 400 mila dall’Unità d’Italia. Mentre la mortalità resta alta anche a causa dei picchi climatici. E la popolazione complessiva si riduce di altre 179 mila unità, scendendo a quota 58 milioni 851 mila. Il rapporto Istat sugli indicatori demografici, aggiornato al 2022, racconta l’aggravamento delle ben note criticità del nostro Paese, che ne fanno un caso particolare anche all’interno di un’Europa nel suo insieme avviata al declino. Ma allo stesso tempo evidenzia anche alcuni aspetti che aiutano a capire meglio quanto sta accadendo. E che potrebbero essere utili ad una politica che volesse provare a invertire la tendenza, o almeno ad attenuarla.
LE CAUSE
Partiamo proprio dalla natalità. Il consuntivo provvisorio dello scorso anno si è fermato a poco meno di 393 mila bambini. Rispetto al 2008 la contrazione è di oltre 184 mila. Ma l’istituto nazionale di statistica ci ricorda che solo una parte di questo andamento è dovuta alla rinuncia delle coppie ad avere figli. Più precisamente, rispetto al 2019, circa un quinto del fenomeno si spiega con la riduzione del tasso di fecondità (che infatti è sostanzialmente stabile negli ultimi tre anni).
A pesare di più - per i restanti quattro quinti - sono invece il calo dimensionale e il progressivo invecchiamento delle potenziali mamme, ovvero della popolazione femminile in età feconda (convenzionalmente quella tra i 15 e i 49 anni).
Nel 2022 i morti sono stati 713 mila, valore in risalita rispetto all’anno precedente, pur se inferiore al 2020. L’85 per cento dei defunti sono persone di 70 anni o più, mentre se si guarda al calendario i decessi si intensificano nei mesi più freddi (gennaio e dicembre) e in quelli più caldi (luglio e agosto). La componente più fragile della popolazione risente insomma delle condizioni climatiche; siccome questo è avvenuto spesso negli ultimi anni, l’Istat conclude che i cambiamenti climatici stanno assumendo «rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza». La speranza di vita alla nascita avanza per gli uomini (80,5 anni ovvero due mesi e mezzo in più) mentre è stabile per le donne a 84,8 anni. L’ipotesi è che nel contesto post-pandemico proprio le donne, normalmente più inclini alla prevenzione, paghino anche la rinuncia a visite programmate e controlli a causa della crisi del sistema sanitario.
Lo sbilancio di oltre 320 mila unità tra nascite e decessi si traduce in una riduzione più contenuta della popolazione (-179 mila) perché è in parte compensato dai flussi migratori, con il saldo netto con l’estero in costante recupero dopo il calo del 2020: l’Italia risulta più attrattiva per gli stranieri. Al primo gennaio 2023 questa componente è andata ancora in controtendenza, con un incremento di circa 20 mila unità, a quota 5 milioni e 50 mila. Ma ci sono anche gli spostamenti interni, ugualmente in ripresa e sfavorevoli al Mezzogiorno. Questo elemento aiuta a spiegare perché Sud e Isole, con una popolazione pari a un terzo del totale, abbiano sperimentato lo scorso da soli una contrazione di 125 mila residenti. Oltre due terzi di quella totale.
LE PROSPETTIVE
Con tutte queste premesse, l’Italia è un Paese sempre più vecchio. L’età media è arrivata a 46,4 anni (dai 45,7 di inizio 2020) e l’incidenza degli ultrasessantacinquenni (oltre 14 milioni di persone) sale al 24,1 per cento. Al contrario si riduce la quota di coloro che hanno tra i 15 e i 64 anni (la popolazione in età attiva, ovvero i potenziali lavoratori) e quella dei ragazzi fino a 14 anni, che ora sono appena il 12,5 per cento degli italiani. Infine un primato in positivo: il numero degli ultracentenari raggiunge il suo livello storicamente più alto. Sono quasi 22 mila e rispetto a 20 anni fa risultano triplicati.