Napoli, statue della Madonna e dei Santi rubate in chiesa su ordine lady camorra

Napoli, statue della Madonna e dei Santi rubate in chiesa su ordine lady camorra
di Paolo Barbuto e Valentino Di Giacomo
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Lunedì 26 Aprile 2021, 12:30

Hanno sottratto tre statue da una chiesa e le hanno portate in un’associazione della Madonna dell’Arco all’Arenaccia. Stavolta però non si tratta di un banale furto di opere d’arte, ma dell’ennesima prova di forza inferta dai clan che sempre più spesso si servono dei simboli religiosi per manifestare la propria influenza sul territorio. I protagonisti di questa storia sono infatti alcuni dei boss della camorra più famigerati della provincia di Napoli. Le statue del ‘600 erano infatti finite accanto all’abitazione, in via San Giovanni e Paolo, dove risiede la suocera dei tre capiclan dell’Alleanza di Secondigliano Patrizio Bosti, Francesco Mallardo ed Eduardo Contini. La donna, Anna Maglieri, è infatti la madre di Rita, Maria e Anna Aieta che hanno sposato i tre boss sancendo così un patto di sangue anche per vincoli familiari tra i clan del centro di Napoli, di Giugliano e di Secondigliano. E non c’è dubbio - secondo gli inquirenti - che sia stata proprio l’anziana donna ad ordinare di sottrarre le tre statue da una vicina chiesa: su due di queste, infatti, erano state aggiunte delle specifiche dediche per Bosti e Mallardo. Sabato pomeriggio sono arrivati i carabinieri guidati dal Comandante provinciale Canio Giuseppe La Gala - dopo una segnalazione fatta proprio dal nostro giornale - per sequestrare le tre opere nell’associazione della Madonna dell’Arco. Un’operazione avvenuta non senza difficoltà e che ha fatto scattare le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia che ora vuole vederci chiaro su questa vicenda. 

 

Le tre statue risalenti al 1600, a grandezza naturale, raffigurano la Madonna del Rosario con il bambino Gesù tra le braccia, San Domenico e Santa Rosa.

Erano inizialmente nella chiesetta del Rosariello di piazza Cavour, poi chiusa in seguito ai vari crolli che hanno interessato l’edificio. Nel 1980, dopo il terremoto, l’immobile venne affidato alla confraternita della Madonna dell’Arco, ma successivamente è stata utilizzata dai clan come luogo di deposito per nascondere refurtiva e droga. Le statue furono così traslate nella chiesa di San Giovanni e Paolo in piazza Ottocalli, ma anche questa parrocchia fu chiusa nel 2012 quando le forze dell’ordine scoprirono che pure questo edificio sacro era diventato un deposito di droga (ai due arrestati in quel blitz furono trovate persino le chiavi del portone della chiesa). Non hanno alcun dubbio i carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale che le opere rinvenute sabato nell’associazione adiacente l’appartamento della suocera dei boss siano proprio quelle che si trovavano nella chiesa di piazza Ottocalli. Quello che ora si chiede la Dda è come sia stato possibile che le tre statue siano finite lì. Ci sono state minacce e pressioni su parroci e componenti della Curia napoletana per realizzare il trafugamento? Nelle ultime ore gli inquirenti stanno per questo raccogliendo informazioni tra il personale ecclesiale. 

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Quando sabato pomeriggio i militari sono giunti in via San Francesco e Paolo con una ditta incaricata per prelevare le statue si sono creati attimi di tensione. Contro gli addetti che hanno portato via le opere sono volate offese e minacce. Sotto due delle statue c’erano targhe in omaggio ai boss Bosti e Mallardo, non un caso quindi la vicinanza dell’associazione della Madonna dell’Arco alla casa di Ninella Aieta. Già da anni - come più volte denunciato anche dal prete anticamorra Don Aniello Manganiello - alcune associazioni dedicate alla Madonna hanno fatto rilevare come ci siano intensi legami tra questi gruppi e membri dei clan su tutto il territorio cittadino. L’ennesima dimostrazione di come i boss della camorra si servano anche dei simboli religiosi per manifestare la propria forza e ingraziarsi la popolazione. Si ritiene infatti che le statue fossero state trafugate dalla chiesa ormai chiusa da anni per consentire ai residenti del posto di venerarle organizzando processioni e preghiere in strada. Il tutto in nome dei boss, tutti da tempo in carcere al 41 bis nonostante qualche tentativo di fuga come nel caso di Francesco Mallardo, detto «Ciccio ‘e Carlantonio».  

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