Napoli, la guerra tra clan per i gadget dello scudetto: caccia al business milionario

Insidiato da altri gruppi il “primato” dei Mazzarella. La camorra gestisce il mercato del falso e danneggia la società di De Laurentiis

Napoli, la guerra tra clan per i gadget dello scudetto: caccia al business milionario
di Leandro Del Gaudio
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Sabato 11 Marzo 2023, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 10:26

Hanno cambiato mission aziendale, hanno trasformato i propri comparti produttivi e calibrato il proprio asset commerciale. Nel giro di poche settimane, la trasformazione è avvenuta in modo silenzioso e indolore per tutto il comparto del falso. Meno accessori di lusso, meno prodotti legati ai grandi brand della moda. Quindi meno pellame e più stoffa. Cambia l’industria della falsificazione a Napoli, cambiano i luoghi e i macchinari, negli stessi giorni in cui si consuma la marcia finora trionfale della squadra di Spalletti. E a dettare il ritmo della trasformazione dell’industria del falso (‘o pezzotto) da queste parti ci sono i clan di camorra, che da decenni producono e gestiscono il grande affare della riproduzione abusiva di marchi e prodotti garantiti. Meno borse, dunque, più maglie con il volto di Osimhen, Kvara e altri big azzurri. Meno accessori di (finto) lusso, più bandiere con il fatidico numero 3, che – scaramanzia a parte – dovrebbe coincidere con la terza volta del tricolore da queste parti, per altro a distanza di 33 anni dall’ultima impresa degli azzurri.
Una trasformazione silenziosa, quella che si è registrata in queste ultime settimane, che passa attraverso i vicoli popolari, come hanno spiegato in questi giorni uomini della Finanza, specializzati nel contrasto alla contraffazione.

LA GEOGRAFIA

Nel giro di pochi giorni, bassi e sottoscala, garage e appartamenti di poche stanze hanno cambiato volto.

Siamo tra i vicoli della Sanità, dei Quartieri spagnoli, della Pignasecca, dove sono stati allestiti veri e propri opifici. Spuntano cucitrici, presse a caldo, coloranti. Lavoro notturno, spesso familiare, sotto il controllo di cosche che dai primi anni del secondo dopoguerra hanno imparato a copiare piccoli e grandi brand, locali e internazionali. Già, le cosche. Ma in che modo entrano i clan in questa storia dei gadget del Napoli? Qual è il rapporto tra le centinaia di bancarelle che scandiscono il paesaggio metropolitano e il sistema criminale napoletano? Anche su questo punto, gli inquirenti hanno le idee chiare, sempre alla luce di quanto accertato in questi mesi: i clan impongono una sorta di racket delle forniture.

LE FORNITURE

Impongono merce, a volte strumenti (come le ormai introvabili presse a caldo per riprodurre il volto degli calciatori azzurri), stabiliscono anche le merci da usare, controlla l’indotto. Più sfumato, almeno per il momento, l’imposizione del pizzo al venditore ambulante che si piazza sul marciapiede a vendere al minuto. Possibile che venga imposta una tangente per i posti più ambiti, specie a ridosso dell’ormai gettonatissimo murale di Maradona, in zona Quartieri spagnoli o nei pressi dello stadio di Fuorigrotta. Inevitabile a questo punto una domanda. Chi c’è dietro la grande bolla dei gadget falsi? Risposta a senso unico: i più attivi in questo settore, sono quelli del clan Mazzarella, che hanno goduto di una sorta di monopolio, grazie a una serie di trasformazioni del proprio orizzonte commerciale: dal contrabbando di sigaerette, ai cd falsi, per passare agli accessori in pelle e ai finti trapani Bosch. E per aggredire oggi il mercato di sciarpe e magliette azzurre. Oggi però non sono soli. Sono insidiati da famiglie legate alla Alleanza di Secondigliano (Licciardi, Contini, Bosti, Mallardo), che vantano una antica tradizione di magliari. Non si esclude che in questo periodo gli equilibri siano particolarmente tesi, proprio per ridefinire il controllo del business dei falsi in salsa azzurra. Clan Mazzarella contro quelli dell’Alleanza di Secondigliano, in una corsa per il momento solo di carattere commerciale.

I PREZZI

Ed è in questo scenario che incide un altro fattore, quello dei prezzi, secondo quanto raccontano gli inquirenti. Lo stesso gadget – come una bandiera – può costare dalle 10 alle 50 euro, a seconda del momento della settimana in cui viene venduto, ma anche delle caratteristiche dell’acquirente: per un turista che giunge in via De Deo e che acquista una bandiera a pochi passi dal tempio laico per Maradona, il prezzo lievita.
Ma come reagisce il calcio Napoli di fronte alla sistematica cannibalizzazione del proprio marchio? Lo ha spiegato a questo giornale il penalista napoletano Fabio Fulgeri, difensore storico del club azzurro: «Ci costituiamo parte civile, come ha chiesto il presidente De Laurentiis sin dall’inizio. Ormai seguiamo circa cento processi l’anno, che aumenteranno alla luce dei sequestri di questi giorni. Non solo a Napoli, ma anche a Cassino, Velletri, Pisa o al sud«. É la dimostrazione del fatto che il mercato dei gadget azzurri falsi tira sempre di più. E a sostenere questo andazzo, ci sono i due cartelli che da sempre hanno segnato la storia delle guerre di camorra a Napoli.

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