Condannato da tre anni, non sa perché: «Aspetto ancora le motivazioni»

Condannato da tre anni, non sa perché: «Aspetto ancora le motivazioni»
di Leandro Del Gaudio
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Martedì 19 Novembre 2019, 07:00 - Ultimo aggiornamento: 10:49

Forse non muoiono dalla voglia di conoscere le motivazioni delle condanne ricevute. O forse sì: magari c'è chi le aspetta per proporre ricorso, per fare appello, per dimostrare la propria non colpevolezza, per difendersi fino alla fine. Per non parlare poi delle parti civili, quelle che attendono la conclusione di un processo per poter battere cassa nei confronti degli imputati e pretendere il giusto riconoscimento del danno subìto.

Posizioni diverse, prospettive differenti, a volte opposte, che sono accomunati però dalla stessa condizione: quella di stare in attesa, all'interno di una bolla sempre identica, una sorta di limbo rimasto inesorabilmente immobile, cristallizzato.

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Da tre anni e cinque mesi, per la precisione: è il tempo passato dal verdetto pronunciato a carico di un direttore di banca (e di alcuni presunti complici), condannato a nove anni di reclusione al termine di un'inchiesta per truffa, sostituzione di persona, costruzione di falsi profili creditizi.

Da allora - dal 15 aprile del 2016, giorno del verdetto - ad oggi, si attende ancora il deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado. E a nulla sono valsi i solleciti inoltrati ai vertici del Tribunale, ai coordinatori della sezione penale del Palazzo di giustizia, tutti finalizzati a sbloccare il caso, ad ottenere il deposito delle motivazioni.

A sollevare il caso è il penalista Luigi Pezzullo, che assiste la Unicredit spa, che si è costituita parte civile nel processo a carico di un gruppo di imputati che avrebbero fatto capo all'ex direttore di filiale V.S., a sua volta ritenuto responsabile di una serie di raggiri.

È la nona sezione penale del Tribunale di Napoli (collegio A), nell'udienza conclusiva del 15 aprile del 2016, a pronunciare la sentenza: è il giorno in cui il direttore viene condannato a nove anni di reclusione e a novemila euro di multa, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili (che per gli inquirenti è pari a un milione e trecentomila euro).

Da allora, nessuna novità, a dispetto anche delle istanze di sollecito indirizzate dal legale di parte civile, con tono garbato ma deciso: «Il sottoscritto - ha scritto in almeno tre occasioni l'avvocato Pezzullo - chiede nuovamente che la signoria vostra voglia invitare l'estensore della sentenza affinché depositi le motivazioni in ragione del tempo trascorso dalla pronunzia (circa tre anni e cinque mesi) e degli interessi civilistici sottesi alla vicenda oggetto del procedimento in questione».

Ma che storia è questa? E in che cosa consistono le accuse culminate in una sentenza rimasta - almeno per il momento - un atto incompiuto? Si tratta di un'inchiesta che ha sempre fatto i conti con i tempi, come emerge dal fatto che il rinvio a giudizio viene disposto nell'ormai lontano primo ottobre del 2009 dall'allora gip De Gregorio, che fissò la prima udienza il 18 gennaio del 2010. Sei anni di processo per arrivare a condanne di cui però non si conosce ancora il motivo, nel senso che non è dato ripercorrere il ragionamento fatto dai giudici al termine della camera di consiglio. Si parte da un'indagine a carico di una presunta associazione per delinquere organizzata per truffare la Banca di Roma, ricettando assegni e documenti di identità (spesso di ignari cittadini del nord Italia) che venivano utilizzati per l'apertura dei conti correnti bancari, con cui strappare mutui e finanziamenti per posizioni posticce, costruite a tavolino.

Agli atti finiscono centinaia di assegni, tutti riconducibili a conti correnti serviti per dare vita a movimentazioni ritenute irregolari. Tutto chiaro, secondo i giudici, al netto però del tempo trascorso per offrire alle parti le motivazioni della sentenza di primo grado. E non è tutto. Tempi lunghi anche se la situazione si sbloccasse a stretto giro, dal momento che - con l'avviso di deposito alle parti - passano almeno 45 giorni per proporre istanza di appello, spostando al 2020 una eventuale apertura di un processo bis alla presunta gang guidata da un ex direttore di banca: quello condannato tre anni e mezzo fa, senza sapere bene ancora perché.

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