Movida, svolta della Cassazione. «È nociva per la salute, i Comuni paghino i danni»

Brescia, vittoria di una coppia che aveva fatto causa per il caos notturno sotto casa

Movida, svolta della Cassazione. «È nociva per la salute i Comuni paghino i danni»
di Valentina Errante
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Domenica 4 Giugno 2023, 08:07 - Ultimo aggiornamento: 11:56

ROMA La controversia va avanti da anni, ma adesso arriva la parola della Cassazione: i residenti dei quartieri della movida possono chiedere il risarcimento dei danni subiti alle amministrazioni comunali che non garantiscano il rispetto delle norme di quiete pubblica e di conseguenza non tutelino la salute dei cittadini. Il caso riguarda una coppia che vive nel cuore di Brescia: a presentare il ricorso (la prima denuncia risale al 2012) sono stati Gianfranco Paroli, fratello dell'allora sindaco Adriano, e la moglie, che abitavano in via Fratelli Bandiera, una strada in un quartiere storico della città, che la sera si popolava di ragazzi fino a tarda notte. La coppia chiedeva un risarcimento «per le immissioni di rumore» nella propria abitazione per la movida. E se in primo grado di era vista dare ragione dal Tribunale, in appello la sentenza era stata ribaltata. Ma ora i giudici della Suprema Corte stabiliscono che le istanze erano legittime e hanno disposto un appello bis perché, attenendosi ai principi di tutela della salute, un nuovo processo quantifichi i danni subiti dai residenti.

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LE SENTENZE

Nel 2017 il Tribunale aveva dato ragione alla coppia, condannando l'amministrazione a pagare oltre 50mila euro: 20mila euro a testa per il danno non patrimoniale e 9mila euro per il danno patrimoniale, oltre a 600 euro per le spese di lite e 8.200 euro per il compenso professionale degli avvocati della coppia. Non solo la sentenza ordinava al Comune la predisposizione di un servizio di vigilanza, dal giovedì alla domenica nei mesi da maggio ad ottobre, con l'impiego di agenti che, entro la mezz'ora successiva alla chiusura, impedissero gli assembramenti per strada. Il giudice riconosceva i danni biologici ai residenti «A causa del rumore antropico per gli schiamazzi di avventori di alcuni locali che stazionano nei pressi dei locali su suolo pubblico». E aggiungeva: «È innegabile che l'ente proprietario della strada da cui provengono le immissioni denunciate debba provvedere ad adottare le misure idonee a far cessare dette immissioni. Deve quindi essere ordinata al comune convenuto la cessazione immediata delle emissioni rumorose denunciate mediante l'adozione dei provvedimenti opportuni più idonei allo scopo. Vi è stata una carenza di diligenza da parte del comune convenuto».
Ma in appello i residenti si erano visti dare torto, la sentenza era stata ribaltata e il giudice di secondo grado aveva stabilito, da un lato, che la titolarità passiva del rapporto di giudizio non spettava al Comune in assenza di norme specifiche che ne imponessero l'obbligo di un puntuale intervento al riguardo (che non si riducesse al mero dovere di assicurare la quiete pubblica) e, dall'altro, aveva escluso che rientrasse nelle competenze del giudice ordinario stabilire le modalità di intervento della pubblica amministrazione.

 

DIRITTO ALLA SALUTE

La coppia però non si è arresa e ha presentato un ricorso in Cassazione, dove si è vista dare ragione. Gli ermellini bacchettano i giudici di secondo grado e precisano che trova fondamento, anche nei confronti della pubblica amministrazione, «la tutela del privato che lamenti una lesione del diritto alla salute (costituzionalmente garantito) e incomprimibile nel suo nucleo essenziale sulla base dell'articolo 32 della Costituzione, ma anche del diritto alla vita familiare e della stessa proprietà, che rimane diritto soggettivo pieno sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l'affievolimento, cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili, provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione è proprietaria)». E aggiungono anzi che spetta proprio al Comune garantire tali diritti: «La pubblica amministrazione - si legge - infatti, è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, può essere condannata sia al risarcimento del danno patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un "facere", al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità». I giudici chiariscono che la richiesta non riguarda o atti che riguardino l'autorità dell'ente ma un'attività che impedisca il danno ingiusto «ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalità a tutela dei diritti soggettivi violati».
 

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