Morosini morì in campo durante Pescara-Livorno, assolti tutti i medici nell'appello bis

Morosini morì in campo durante Pescara-Livorno, assolti tutti i medici nell'appello bis
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Venerdì 11 Ottobre 2019, 19:49 - Ultimo aggiornamento: 20:50

Piermario Morosini, tutti assolti, dalla Corte d'Appello di Perugia, i medici Vito Molfese, Manlio Porcellini ed Ernesto Serafini, che erano stati condannati per omicidio colposo in relazione alla morte del calciatore del Livorno, deceduto a 26 anni il 14 aprile 2012, dopo essersi accasciato sul prato dello stadio Adriatico durante l'incontro Pescara-Livorno di serie B.

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La Cassazione aveva annullato la sentenza di condanna, emessa in primo grado dal tribunale di Pescara e confermata dalla Corte d'Appello dell'Aquila, disponendo il rinvio presso la Corte d'Appello di Perugia per un nuovo giudizio.



Lo scorso 10 aprile la Cassazione aveva annullato la sentenza di condanna emessa in primo grado dal tribunale di Pescara e confermata dalla Corte d'Appello dell'Aquila, disponendo il rinvio presso la Corte d'Appello di Perugia per un nuovo giudizio. Il medico del 118 di Pescara Molfese era stato condannato a un anno di reclusione, ai medici sociali, Porcellini del Livorno e Sabatini del Pescara, erano stati inflitti 8 mesi di reclusione ciascuno.



Quel 14 aprile 2012 Morosini si accasciò al 29/o minuto della gara. Per primo intervenne il medico del Livorno, poi sopraggiunse Sabatini, a seguire il medico del 118 Molfese. Porcellini praticò un massaggio cardiaco al giocatore al quale fu applicata anche una cannula per la ventilazione.

Dopo una disperata corsa in ambulanza, Morosini morì nell'ospedale pescarese. Decesso, secondo quanto poi accertato dall'autopsia, causato da arresto cardiaco dovuto a una cardiomiopatia aritmogena. In primo grado, il 13 settembre 2016, i tre medici erano stati condannati dal giudice monocratico del Tribunale di Pescara, Laura D'Arcangelo. In secondo grado la Corte d'Appello dell'Aquila aveva confermato quasi in toto la sentenza.

Secondo la Cassazione, che ad aprile scorso ha rinviato il giudizio a Perugia, le valutazioni espresse nella sentenza di condanna, «poste alla base della ritenuta sussistenza del nesso di derivazione causale tra le condotte dei sanitari e la morte improvvisa del giovane calciatore», «risultano da un lato carenti e dall'altro inficiate da aporie logico-argomentative». Gli ermellini osservarono, inoltre, che nella sentenza d'appello «non sono state considerate le condizioni di concitazione e urgenza, in cui si svolse l'azione di soccorso, nella prospettiva della concreta esigibilità di una condotta diversa da parte dei medici».

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