«Marocchino di m...». Il militare e quelle frasi razziste verso un collega: condannato a un anno e 3 mesi

«Marocchino di m...». Il militare e le frasi razziste verso un sergente: condannato a un anno e 3 mesi
di Michele Galvani
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Martedì 12 Gennaio 2021, 18:43 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 11:00

«Sto marocchino di m...gliela farò pagare in un modo o nell'altro». «Sto marocchino non è degno di stare nell'esercito italiano, ha rubato il posto in Accademia a un italiano». «Sto meschino è un pezzo di m...». Sono solo alcune delle frasi che il sergente maggiore del 7° reggimento Alpini, Carmelo Lo Manto, rivolgeva al maggiore degli alpini Karim Akalay Bensellam, italiano di origini marocchine. Frasi per cui l'uomo è finito sotto processo. Ora, la Corte Militare di Appello di Roma ha confermato la sentenza di condanna per le "frasi razziste" proferite contro l’Ufficiale dell’esercito italiano, confermando la pena inflitta dal Tribunale Militare di Verona. L’imputato è stato condannato ad un anno e tre mesi di reclusione (con riduzione della pena di soli tre mesi). L'accusa è «diffamazione pluriaggravata e continuata», si legge nella sentenza firmata dal giudice Enrico Della Ratta Rinaldi, con presidente Massimo Bocchini.

LA STORIA I fatti risalgono a un periodo preciso: tra la fine del 2014 e metà del 2017.

Diversi testimoni avrebbero sentito pronunciare quelle frasi. Lo racconta il militare in congedo Sara Barcaro, secondo cui Lo Manto pronunciava quelle frasi «ogni mattina, con tono basso, per faresi sentire solo di chi era vicino a lui». La donna cita diversi colleghi militari che avrebbero ascoltato le parole ingiuriose.

 

Fra i due sembra non corresse buon sangue. C’erano state delle zuffe e Bensellam stesso era finito sotto processo con l’accusa di aver aggredito il sergente, vicenda chiusa con un proscioglimento per «la particolare tenuità del fatto». Ed è stato proprio da quella sentenza che è scaturita l’indagine per razzismo. «Lì il mio cliente ha scoperto tutto, il sergente gli parlava alle spalle e pubblicamente», spiega l’avvocato Massimiliano Strampelli, suo difensore. «Io ho sempre cercato di non coinvolgere il reparto in una vicenda che avrebbe infangato l’onore del Reggimento e del comando — scrive l'uomo nella denuncia presentata alla Procura militare di Verona —. Ma tutte queste remore sono venute meno quando ho appreso del comportamento razzista e oltraggioso». Fra le testimonianze, quella di un’alpina, Elena Andreola: «Durante l’alzabandiera era consuetudine sentire il sergente dire “sto marocchino di m...”». Diversi anche i militari che affermano di non aver mai sentito nulla. «Il mio cliente si dichiara estraneo ai fatti», la posizione del suo avvocato, Antonio Vele.

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LA PASSIONE Bensellam è l’unico ufficiale delle truppe alpine di origini maghrebine. Una vera passione, come racconta il suo legale. Il padre, Mohammed, lo avrebbe voluto medico, nonno Mario invece no: lo vedeva più come un alpino. Contadino e penna nera, il nonno fu decisivo anche per le scelte del fratello di Karim, Nizar, maresciallo dei carabinieri al comando di una stazione in zona Arezzo. La carriera di Bensellam, sposato, padre di una bimba, parte dalla scuola d’addestramento di Torino. Dopo l’accademia militare, finisce a Belluno. Tenente a due stelle, poi capitano (al comando di circa 120 uomini), ora è maggiore ad Aosta. In prima linea anche in varie missioni all’estero, soprattutto in Afghanistan. «Karim dice che l’esercito è fatto di individui e c’è sempre l’ignorante che fa la battutina — aggiunge l’avvocato Strampelli riferendosi ad eventuali probelmi del suo assistito —. ma pensa non si possa parlare di razzismo nell’esercito, semmai di razzismo inconsapevole».

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LA CONDANNA I giudici, nella prima sentenza di Verona, hanno condannato Lo Manto a un anno e 6 mesi di reclusione, oltre che al risarcimento di danni quantificato in 4.000 euro, più le spese sostenute dalla parte civile (liquidate con 4.450,50). Oggi la conferma. «Soddisfazione per la giusta conclusione di una dolorosa pagina personale e familiare - commenta il suo difensore, Strampelli -  l'importanza di una pronuncia che costituisce una pietra miliare del principio di non discriminazione all'interno delle Forze Armate».

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