Michele Di Bari, si dimette capo dell'Immigrazione: «La moglie fa caporalato». Choc al Viminale

Foggia, è indagata per sfruttamento. Il prefetto lascia l'incarico

Michele Di Bari, si dimette capo dell'Immigrazione: «La moglie fa caporalato». Choc al Viminale
di Michela Allegri
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Sabato 11 Dicembre 2021, 07:46 - Ultimo aggiornamento: 07:55

Sfruttati, sottopagati e costretti a lavorare anche in ambienti non sicuri. Nell'azienda agricola di cui è socia titolare Rosalba Livrerio Bisceglia, 55 anni, moglie dell'ormai ex capo del Dipartimento Immigrazione del Viminale, il prefetto Michele di Bari, i braccianti venivano pagati 5,70 euro l'ora e non oltre i 35 euro al giorno. Una somma palesemente difforme dalle tabelle del contratto nazionale che prevedono una paga netta di 50 euro per 6 ore. La giornata nei campi, tra olivi, vigne, coltivazioni di grano e di spinaci, oltretutto, non durava meno di 8 ore. Lo scrive il gip di Foggia, Margherita Grippo, nell'ordinanza che ha portato all'arresto di 5 persone. La Bisceglia, titolare di una delle 10 aziende finite nel mirino della Procura, che è una delle più importanti aziende agricole di Manfredonia, è stata sottoposta all'obbligo di firma due volte alla settimana e all'obbligo di dimora a Foggia.

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Le dimissioni

Il marito, una volta circolata la notizia, ha lasciato l'incarico al ministero. D'altronde, proprio al Viminale, nemmeno due mesi fa si è insediata la Consulta contro il caporalato, presieduta da Roberto Maroni. La ministra Luciana Lamorgese, ha accettato le dimissioni ed è finita nuovamente nel mirino di Lega e FdI, che le chiedono di riferire in Parlamento.
Nell'inchiesta, condotta dai carabinieri, gli indagati sono in tutto 16: 2 in carcere, 3 ai domiciliari e 11 sottoposti all'obbligo di firma.

L'accusa è, a vario titolo, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Secondo il giudice, gestori delle aziende e caporali avrebbero approfittato dello stato di bisogno delle vittime, «derivante dalle condizioni di vita precarie». Secondo il magistrato, inoltre, la titolare dell'Azienda agricola Bisceglia, a Mattinata, costa meridionale del Gargano, era «consapevole delle modalità della condotta di reclutamento e sfruttamento».

Il reclutamento

La donna è sotto accusa per avere impiegato forza lavoro procurata in modo illecito dal trentatreenne gambiano Bakary Saidy, finito in carcere insieme al senegalese Kalifa Bayo. Agli atti, centinaia di intercettazioni telefoniche. Era proprio l'imprenditrice a telefonare a Saidy, comunicando la necessità di uomini. E versava le retribuzioni a lui, invece che ai singoli lavoratori. Il gip scrive che gli indagati hanno dimostrato «un'elevata professionalità» nell'organizzare «l'illecito sfruttamento della manodopera». Nell'ordinanza si legge anche che «Saidy portava sui campi i braccianti, in seguito alla richiesta di manodopera avanzata dalla Bisceglia, che comunicava telefonicamente il numero di lavoratori necessari». Il caporale viene definito un «intermediatore illecito e reclutatore, trasportatore e controllore della forza lavoro».

A gestire gli operai, per l'accusa, era Matteo Bisceglia, pure lui indagato. Il ruolo della moglie del prefetto di Bari, invece, era quello di «interfacciarsi» con Saidy «per concordare ed effettuare i pagamenti». Era il caporale a distribuire i compensi ai braccianti, trattenendo 5 euro dalla paga di ognuno di loro come saldo per l'attività di intermediazione.
Negli atti vengono ricostruite le condizioni dei lavoratori: venivano ingaggiati in violazione dei contratti collettivi e in maniera «gravemente sproporzionata» rispetto alla qualità e alla quantità del lavoro prestato. Nell'azienda veniva anche violata la normativa relativa all'orario e ai periodi di riposo: non venivano riconosciuti gli straordinari e le pause, e non c'erano nemmeno servizi igienici idonei. I braccianti, inoltre, erano sprovvisti dei dispositivi di protezione degli infortuni.

La difesa

L'imprenditrice Bisceglia, sostenuta anche dal marito, ha respinto le accuse: «Tutto è stato fatto in regola. Mi hanno contestato di aver subito un'ispezione il 15 settembre 2020, giorno stesso - ha detto - in cui avrei assunto 12 braccianti, sei italiani e sei stranieri. Ma io ho tutta la documentazione che attesta che l'assunzione è avvenuta il giorno prima. Manodopera che ho sempre pagato regolarmente con bonifici bancari. Mi sono anche accertata che i braccianti avessero un regolare permesso di soggiorno». La donna gestisce insieme alle sorelle l'azienda che si tramanda da generazioni: «Siamo agricoltori da sempre. Sono un libro aperto, non ho nulla da temere. Ho sempre lavorato nella massima trasparenza». Il prefetto Di Bari si è detto «dispiaciuto» per la moglie, «ha sempre assunto comportamenti improntati al rispetto della legalità, nutre completa fiducia nella magistratura ed è certa della sua totale estraneità ai fatti contestati».

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