Matteo Messina Denaro, le rivelazioni di un pentito: «Aveva un palazzo a Venezia e le tessere del casinò»

Parla Salvatore Baiardo, l'uomo che all'inizio degli anni 90 gestì la latitanza dei fratelli Graviano, Giuseppe e Filippo

Matteo Messina Denaro, le rivelazioni di un pentito: «Aveva un palazzo a Venezia e le tessere del casinò»
di Maurizio Dianese
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Domenica 13 Novembre 2022, 15:02 - Ultimo aggiornamento: 14 Novembre, 17:41

Non è una rivelazione. È una conferma. Che Matteo Messina Denaro, il superlatitante capo della mafia palermitana sia stato ospite del Veneto, lo si sapeva già, ma adesso arriva una conferma dalle dichiarazioni di Salvatore Baiardo, l'uomo che all'inizio degli anni 90, gestì la latitanza dei fratelli Graviano, Giuseppe e Filippo. In numerosi verbali di interrogatorio e in una recente intervista a Massimo Giletti che è andata in onda a Non è l'arena, su La7, Baiardo dice molte cose interessanti.

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Messina Denaro, il cerchio si stringe

La prima e più importante è che Matteo Messina Denaro è gravemente ammalato ed è pronto a farsi arrestare: Lo Stato, quando vuole arresta anche Matteo Messina Denaro, come ha fatto con Totò Riina. Il riferimento è all'arresto del boss mafioso, ammanettato dai carabinieri il 15 gennaio 1993 dagli uomini del Ros, che si dimenticarono di perquisire la villa nella quale abitava, ricorda Baiardo. Inoltre Messina Denaro, Baiardo e i Graviano avevano un palazzo a Venezia ai primi anni 90, acquistato probabilmente tramite prestanome. Non solo ma, dice Baiardo, avevano anche le tessere del Casinò.

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Messina Denaro, l'intervista

Il secondo passaggio importante, nei verbali e nell'intervista a Non è l'Arena, è relativo alle coperture istituzionali che hanno avuto i mafiosi, prima e dopo il 1994. In particolare Baiardo tira in ballo Silvio Berlusconi. E anche questa non è una novità visto che Giuseppe Graviano chiama in causa da anni Berlusconi, senza peraltro alcun riscontro effettivo. Addirittura Graviano ha dichiarato in un verbale di sapere per certo che è stata conservata una scrittura privata tra il nonno Filippo Graviano e Silvio Berlusconi che certificherebbe l'avvenuta consegna di 20 miliardi di lire da investire nella costruzione di Milano2. E questo è uno dei motivi per cui la Procura di Firenze, che sta indagando sui mandanti degli attentati del 1993 avvenuti a Firenze, Roma e Milano, ha ordinato l'anno scorso una serie di perquisizioni anche nel Veneto, una regione che, peraltro, ha dato ospitalità nel tempo a tanti pezzi da 90 della mafia siciliana a partire da Totuccio Contorno che negli anni 80 fu soggiornante obbligato in Riviera del Brenta per arrivare a Giuseppe Madonia, arrestato a Longare nel 92 e finire con Messina Denaro, che sarebbe stato ospitato in una casa agricola vicino ad una cantina di Campo di Pietra di Salgareda.

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Il boss dei boss di Cosa Nostra - dopo l'arresto di Totò Riina e Bernardo Provenzano - sarebbe stato ospite di Vincenzo Centineo, un mafioso arrestato nel febbraio del 2019 nell'ambito dell'inchiesta sul clan dei Casalesi di Eraclea guidato da Luciano Donadio del quale Centineo era amico. È stato il collaboratore di giustizia Emanuele Merenda, braccio destro di Centineo, a raccontare il particolare clamoroso della latitanza veneta di Matteo Messina Denaro, responsabile della stagione delle stragi e in particolare dell'attentato di via D'Amelio del 19 luglio 1992 nel quale furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta. Peraltro Baiardo dice chiaramente che Matteo Messia Denaro è sempre rimasto in Italia, anche se è ufficialmente ricercato dal 3 giugno 1993. Vuol dire che ha passato 29 anni di latitanza tra il Piemonte, la Lombardia e il Veneto. Del resto anche Totò Riina, nell'aprile del 1974, aveva deciso che fra le tappe del suo viaggio di nozze con Antonietta Bagarella ci doveva essere anche Venezia e da qualche parte c'è una foto dei due sposini novelli in mezzo ai colombi in piazza San Marco.

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