Matteo Messina Denaro arrestato a Palermo. Era in una clinica sotto falso nome, non ha opposto resistenza. «Sono io»

Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni

Matteo Messina Denaro arrestato a Palermo. Era in una clinica, non ha opposto resistenza. «Sono io»
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Lunedì 16 Gennaio 2023, 09:20 - Ultimo aggiornamento: 21:16

Montone griffato, cappellino e al polso un Franck Muller da 35mila euro. «Mi chiamo Matteo Messina Denaro», dice con fare arrogante al carabiniere del Ros che sta per arrestarlo. Finisce così la latitanza trentennale del padrino di Castelvetrano, finito in manette alle 8.20 di questa mattina mentre stava per iniziare la seduta di chemioterapia alla clinica Maddalena di Palermo, una delle più note della città. 

 

Matteo Messina Denaro, chi è il boss mafioso che fu pupillo di Riina: era latitante dal 1993

Matteo Messina Denaro arrestato, dove si trovava

Quando si è reso conto d'essere braccato, ha accennato ad allontanarsi.

Non una vera e propria fuga visto che decine di uomini del Ros, armati e col volto coperto, avevano circondato la casa di cura. I pazienti, tenuti fuori dalla struttura per ore, si sono resi conto solo dopo di quanto era accaduto e hanno applaudito i militari ringraziandoli. Stessa scena fuori dalla caserma Dalla Chiesa, sede della Legione, dove nel pomeriggio il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, l'aggiunto Paolo Guido, il generale del Ros Pasquale Angelosanto e il comandante palermitano del Raggruppamento Speciale Lucio Arcidiacono hanno tenuto una conferenza stampa. Una piccola folla ha atteso i pm e mostrato uno striscione con scritto: «Capaci non dimentica».

Le prime parole

Il boss mafioso Matteo Messina Denaro ha subito ammesso, come si apprende, la sua vera identità. «Sono Matteo Messina Denaro», ha detto agli uomini del Ros. Anche se questa mattina si era presentato con il nome Andrea Bonafede.

La latitanza record dell'ultimo boss

 In mattinata in Procura era arrivata la premier Giorgia Meloni che ha voluto incontrare i magistrati per congratularsi con loro. «Siamo orgogliosi di un risultato costato tanta fatica», dicono i pm che sottolineano come si sia trattato di una indagine tradizionale. Nessun pentito, nessun anonimo. Messina Denaro è stato preso grazie alla stessa strategia che portò all'arresto del boss Bernardo Provenzano. Prosciugare l'acqua attorno al latitante, disarticolando la rete dei favoreggiatori. Favoreggiatori anche eccellenti: «una fetta della borghesia lo ha aiutato», dice il procuratore de Lucia. È accaduto questo. E i familiari del boss stretti dalla morsa degli investigatori alla fine hanno fatto l'errore fatale. Parlando tra loro, pur sapendo di essere intercettati, hanno fatto cenno alle malattie del capomafia. L'inchiesta è partita da lì. E indagando sui dati della piattaforma del ministero della Salute che conserva le informazioni sui pazienti oncologici, si è riusciti a stilare una lista di pazienti sospettati. Un nome ha fatto saltare sulla sedia gli inquirenti: Andrea Bonafede, parente di un antico favoreggiatore del boss. Avrebbe un anno fa subito un intervento al fegato alla Maddalena. 

Chi era

Ma nel giorno in cui doveva trovarsi sotto ai ferri, hanno scoperto i magistrati, Bonafede era a casa sua a Campobello di Mazara. E allora il sospetto che il latitante usasse l'identità di un altro si è fatto forte. La prenotazione di una seduta di chemioterapia a nome di Bonafede, per stamattina, ha fatto scattare il blitz. Messina Denaro, trasferito subito in una località segreta, sarà destinato ad un carcere di massima sicurezza, un istituto che gli possa permettere di seguire le sue cure, come ad esempio Parma, dove già furono reclusi Riina e Provenzano: la premier parla di regime di «carcere duro» e il procuratore de Lucia scandisce che le condizioni del boss «sono compatibili col carcere». 

 

 

Ma le indagini non si sono fermate con l'arresto. Perquisizioni sono in corso da ore nel trapanese: Castelvetrano e Campobello di Mazara vengono setacciate palmo a palmo. Gli inquirenti cercano e sarebbero ad un passo dal covo. Quel nascondiglio che avrebbe ospitato il boss negli ultimi mesi e potrebbe custodire i segreti dell'ex primula rossa di Cosa nostra che, dicono i pentiti, avrebbe conservato il contenuto della cassaforte di Totò Riina portata via dalla casa di via Bernini, mai perquisita. Decine le dichiarazioni di politici di tutti gli schieramenti dopo l'arresto. «Oggi è una giornata storica - ha detto il procuratore de Lucia - che dedichiamo a tutte le vittime della mafia». Parole simili a quelle pronunciate dalla premier che ha aggiunto: «mi piace immaginare che il 16 gennaio possa essere il giorno nel quale viene celebrato il lavoro degli uomini e delle donne che hanno portato avanti la guerra contro la mafia. Ed è una proposta che farò».

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