Mare Fuori, il (vero) carcere minorile di Nisida, le storie (a lieto fine) di chi ha cambiato vita

Il ruolo-chiave della comunità Jonathan, dove molti di loro vanno per la messa in prova e imparano un lavoro

Carcere minorile di Nisida, da baby boss a operai: le storie (a lieto fine) di chi ha cambiato vita
di Valentina Panetta, inviata a Napoli
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Domenica 19 Marzo 2023, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 24 Marzo, 08:09

«Anche mio figlio, come tutti, guarda Mare Fuori e io che a Nisida ci sono stato so cosa significa davvero. Lui però non sa nulla del mio passato, non è ancora il momento, e così quando lo trovo davanti alla tv gli dico solo “stai inguaiato” e lui ride ogni volta». Biagio Ciambriello, aveva 17 anni, quando capì che i cancelli del carcere di Nisida chiusi rumorosamente alle sue spalle avrebbero segnato l’inizio di una nuova fase della sua vita. Un “dopo” fatto di adulti e confronti con la giustizia che lo avrebbero fatto crescere più velocemente di molti suoi coetanei. “Il fraintendimento” che lo ha portato a rischiare una pena di 18 anni, ancora oggi lo tormenta a quasi venti anni e ottocento chilometri di distanza. 

La scelta di Biagio infatti è stata quella di andare lontano dalla sua amata Napoli e arrivare a Varese dove oggi lavora in una fabbrica di elettrodomestici Whirlpool e vive con sua moglie e i due figli. 

Ad introdurlo nel mondo del lavoro è stata la comunità Jonathan nella quale è entrato grazie a una messa alla prova dopo un anno a Nisida: prima l’impiego Indesit a Caserta, poi trasferito in Lombardia.

Oggi sono 15 anni che Biagio lavora “in catena” e dovrà sottoporsi a un’operazione al tunnel carpale. «Ho perso la sensibilità. Ma ne vado fiero e mi dispiace non poter andare a lavorare per un po’ perché in comunità mi hanno insegnato che dobbiamo valere come una persona e mezzo». 

Mare Fuori, a Nisida è tutto diverso

«Cosa ne penso della serie? A Nisida è tutto diverso, non ci sono agenti amici e molte più regole. Se l’avessi realizzata io avrei raccontato le sofferenze ai colloqui, il passaggio in comunità e il muro che mi ero creato attorno, contro tutti. Poi la parte bella in cui capisco e arrivo fino a dove sono oggi. Sceglierei questo finale». 

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Lo stesso finale che ha scelto per sé Achraf Bouxib, 24 anni, in comunità dal 2017 al 2019 dopo esser passato per il carcere. Genitori marocchini che all’età di 10 anni lo hanno costretto a raggiungere l’Italia per farlo studiare, ma da lì qualche anno per lui le cose sarebbero andate in modo diverso. «Avevo 16 anni, mi lasciavo trasportare dalle amicizie sbagliate e facevo di tutto: aggressioni, rapine, risse. Dal carcere poi mi portarono in comunità dicendomi: «Se ti comporti male torni qui». E così io da allora mi sono comportato bene». Ritrovarsi chiuso all’improvviso ha fatto scoprire a Achraf il valore della libertà. A salvarlo è stata la fotografia, una passione nata durante un corso di formazione nel periodo di detenzione e diventata il suo lavoro. Un drone lo accompagna sempre nei suoi servizi, gli amici che frequentava al tempo ora non ci sono più. Nel tempo libero ora Achraf è un subacqueo. Per le vele bianche della serie televisiva passa la storia di Salvatore di Maio, che dalla barca della comunità ha visto per la prima volta, da fuori, il mare.

«In mezzo al mare io non c’ero mai stato, e in quel momento sentii per la prima volta la mia vera natura. Ora quella sensazione mi manca». 

Dopo il primo lavoro al fianco dello zio fruttivendolo al carcere di Nisida appena diciassettenne per rapina aggravata. «Lo feci per una questione di amicizia, fino a quel momento non mi era mai mancato niente. Sono stati momenti difficili che non dimenticherò». 

«In istituto facevamo corsi insieme a ragazzi e ragazze, questo che si racconta nella serie è vero. L’ho vista anch’io ma non mi piace mai parlare del mio passato. L’unica cosa che mi diverte raccontare sempre è che quando mi dissero che sarei stato mandato a Nisida, dopo l’arresto, ero convinto di dover raggiungere l’isola in traghetto, non sapevo fosse collegata alla terraferma». 

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Salvatore è tornato in libertà lo scorso novembre. A 19 anni lavora come autista per un’azienda di Napoli. Accanto a lui da prima dell’arresto, la fidanzata Jessica, casalinga. La loro storia è sopravvissuta alle tensioni e alla lontananza del carcere. Si sposeranno a maggio e aspettano un bambino, che nascerà a metà settembre. Tra qualche giorno si saprà il sesso, ma maschio o femmina a lui poco importa.

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