​Il risarcimento Manduca e il segnale pericoloso sulla violenza di genere

Il risarcimento Manduca e il segnale pericoloso sulla violenza di genere
di Marco Meliti
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Sabato 23 Marzo 2019, 00:10

Non vi è dubbio come la sentenza che ha revocato il risarcimento in favore dei tre figli di Marianna Manduca, sul presupposto della mancanza di qualsiasi responsabilità delle Istituzioni per l’accaduto, rappresenti un segnale pericoloso nella lotta alla violenza di genere. Indipendentemente dalle valutazioni meramente giuridiche, la motivazione posta alla base della decisione rappresenta una sorta di certificazione della resa dello Stato di fronte alle violenze domestiche. Se è vero, infatti, che non si sarebbe forse potuto comunque impedire il folle intento omicida del marito, leggere che sarebbe stato persino inutile tentare di offrire tutela e riparo ai reiterati ed accorati appelli di una mamma, è un macigno che ci colpisce dritti allo stomaco. Dodici denunce inascoltate, che hanno prodotto solamente un silenzio assordante, laconicamente rotto dalla desolante affermazione dei giudici secondo la quale, in ogni caso, “l’epilogo mortale della vicenda sarebbe rimasto immutato”. Una rassegnazione che sembra mandare in fumo tutti gli sforzi compiuti in questi anni per cercare di trasmettere una maggiore consapevolezza a tutte quelle donne vittime di violenza domestica, sia pure di natura psicologica, sulla necessità di doversi sottrarre senza esitazione a quei rapporti tossici, trovando il coraggio di denunciare, perché a volte l’esitazione può essere un peccato mortale. Un danno, quindi, che si aggiunge alla beffa subita da questi tre poveri ragazzi, ancora minorenni, che dopo essersi visti portare via l’amore della propria madre da quell’unico uomo dal quale mai avrebbero pensato di doversi proteggere, si vedono oggi revocato quel risarcimento economico che poteva rappresentare una luce di speranza da inseguire, per reinventarsi un futuro spezzato in una triste giornata di autunno.

Ed invece, a dodici anni di distanza dalla tragedia che li ha travolti, il sistema Giustizia si autoassolve da ogni responsabilità, lasciandoli soli a misurarsi con il vuoto incolmabile della perdita dei loro affetti, obbligati persino a restituire i soldi eventualmente già spesi per il loro sostentamento e per i loro studi. D’altra parte, affermano i Giudici, le normative di allora non prevedevano il reato di stalking, così come i maltrattamenti e le minacce denunciate dalla povera Marianna non apparivano sufficientemente gravi da consentire “l’applicazione della misura cautelare” al marito. Insomma, ventuno pagine di sentenza per giustificare come la magistratura fosse del tutto impotente di fronte alle accorate richieste di aiuto della donna, tanto da ritenere inutile persino interrogare l’uomo.

Eppure, nella nostra testa continuano a scavare come un tarlo le parole del Tribunale che, in primo grado, aveva parlato di “negligenza inescusabile” per non aver disposto “nessun atto di indagine rispetto ai fatti denunciati” e per non aver adottato “nessuna misura per neutralizzare la pericolosità di Saverio Nolfo”. Non resta, pertanto, che sperare che la Cassazione ammaini la bandiera bianca issata dai Giudici di Appello, restituendo un po’ di futuro a questi tre giovani ragazzi ed a tutte quelle donne che in questo momento, chiuse nella loro stanze, stanno cercando di trovare il coraggio di uscire allo scoperto e di denunciare i soprusi subiti da chi aveva giurato di amarle.

L'autore è avvocato matrimonialista, Presidente Associazione Italiana di Diritto e Psicologia della Famiglia

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