Morta Lucy Fasani, l'unica transessuale sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti: aveva quasi 99 anni

Scampata all'olocausto, la donna transgender era un simbolo di libertà contro l'oppressione

Morta Lucy Fasani, l'unica transessuale sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti: aveva quasi 99 anni
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Mercoledì 22 Marzo 2023, 14:58 - Ultimo aggiornamento: 15:06

Una vita capace di ispirare libri e documentari, vissuta con il coraggio di essere sé stessi, sempre, anche a costo di rischiare la pelle. È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l'unica transessuale italiana ad essere sopravvissuta ai lager nazisti.

Fin da piccolo si è sentita una femmina nel corpo di un maschio, ma sono anni in cui fare coming out è impossibile. Lo ha fatto nel 1941, quando è stata chiamata alle armi, ma nel momento in cui ha affermato di essere gay nessuno le ha creduto: tutti pensavano fosse una scusa per non andare al fronte. 

La storia di Lucy Salani

Lucy Salani nasce come Luciano Salani nel 1924 a Fossano, in provincia di Cuneo, ma trascorre gran parte della sua giovinezza a Bologna. Allo scoppio della guerra, prima della sua transizione dal genere maschile a quello femminile, viene chiamata in servizio dall’esercito italiano (per i giovani uomini vigeva ancora la leva obbligatoria), ma dopo l’armistizio italiano dell’8 settembre 1943 decide di disertare e darsi alla fuga.

Con l’occupazione da parte dell’esercito nazista di gran parte dell’Italia, è costretta a unirsi alle truppe fasciste, ma diserta di nuovo. Scoperta, viene internata nel campo di lavoro forzato di Bernau, in Germania. Da qui riesce a scappare ancora, ma poi viene di nuovo scovata e catturata dai nazifascisti. Questa volta viene spedita nel campo di concentramento di Dachau e marchiata con il triangolo rosso, simbolo di riconoscimento affibiato a prigionieri politici e disertori.

Proprio il fatto di essere entrata nel lager tedesco come soldato disertore, e non come omosessuale, sarebbe stato un dettaglio cruciale per la sua sopravvivenza al cosiddetto "omocausto". Rimane a Dachau dal novembre del 1944 fino al maggio del 1945. 

Nel giorno della liberazione da parte degli Alleati, poco prima di abbandonare il campo, le guardie naziste cominciano a sparare sui prigionieri dalle torrette di Dachau: Salani viene centrata a una gamba, ma sopravvive e viene ritrovata tra i cadaveri.

Dopo la guerra, Salani vive sopratutto tra Torino e Roma, con una parentesi anche a Parigi. Negli anni '80, a Londra, si sottopone all’operazione di riattribuzione del sesso, senza però cambiare il suo nome all’anagrafe.

Sempre nello stesso periodo si ritrasferisce nella sua amata a Bologna dove rimane fino alla morte.

Come riporta Il Post, Salani in vita è stata anche un’attivista antifascista e per i diritti delle persone LGBTQ+. La sua vita è stata raccontata nel libro del 2009 "Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale", di Gabriella Romano, e nel documentario realizzato dalla stessa autrice intitolato "C’è un soffio di vita soltanto", uscito nel 2021. Nel 2014 era stata anche intervistata nel documentario "Felice chi è diverso", diretto da Gianni Amelio.

«Sono stato bambino, figlio e figlia, soldato, disertore e prigioniero, madre, prostituta e amante. Ma qualsiasi persona sia stata, posso dire con convinzione di essere stata sempre me stessa», ha raccontato la stessa Lucy a proposito della sua vita. 

Il cordoglio social

«Lucy è stata una giovane poetessa e donna transgender riuscita a sopravvivere all'orrore del campo di concentramento nazista di Dachau. La sua vita è simbolo di Resistenza e di memoria storica. Il ricordo di Lucy vive nei nostri cuori e ci spinge a lottare con ancora più forza per affermare l'immenso valore dell'autenticità delle nostre vite», scrive su Facebook la no-profit Arcigay, che le aveva consegnato la tessera nei mesi scorsi.

«L’ho conosciuta alla presentazione del bellissimo documentario su di lei - ricorda sui social l'attivista pro-gender Vladimir Luxuria - ho trascorso ore insieme lei, rapita dai suoi racconti. Mi ha iniettato linfa vitale per continuare a credere nella lotta contro l’odio, il nazifascismo, la discriminazione. Piccola e forte, occhi magnetici e battuta sempre pronta. Si lotta per il diritto alla vita, una vita dignitosa tanto quanto la sua anima».

Altri messaggi di cordoglio sono arrivati dai registi del documentario "C'è un soffio di vita soltanto",  Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, che hanno condiviso con lei gli ultimi istanti della sua esistenza: «Lucy se ne è andata, ma il suo ricordo e la sua storia rimarranno scolpiti non solo nella memoria di chi, come noi, le ha voluto bene, ma anche nella memoria collettiva del nostro paese». 

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