Attanasio, chiesto il rinvio a giudizio per due dipendenti Onu: organizzarono la missione in Congo

Nei confronti di Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza, il procuratore Francesco Lo Voi e l'aggiunto Sergio Colaiocco, contestano il reato di omicidio colposo

Luca Attanasio, due dipendenti Onu a processo per omicidio colposo: hanno organizzato la missione in Congo
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Martedì 15 Novembre 2022, 11:29 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 02:18

Due dipendenti del Pam, organizzazione dell'Onu sul programma alimentare, rischiano di finire sotto processo per la pesante accusa di omicidio colposo in relazione alla morte dell'ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, uccisi in Congo il 22 febbraio dell'anno scorso, nella zona del Parco del Virunga. La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per il vicedirettore del Pam, Rocco Leone e il suo collaboratore Mansour Luguru Rwagaza, richiesta che verrà adesso vagliata dall'ufficio del gup. I due sono accusati di avere «attestato il falso, al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza dell'Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione alla missione, al posto dei nominativi dell'ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci quelli di due dipendenti Pam così da indurre in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio e ciò in quanto non avevano inoltrato la richiesta, come prescritto dai protocolli Onu, almeno 72 ore prima». 

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Luca Attanasio, l'accusa ai dipendenti Onu

Attanasio e il militare dell'Arma che lo scortava vennero uccisi nel corso di un drammatico tentativo di rapimento.

Un gruppo di banditi locali composto da almeno cinque persone, attualmente sotto processo in Congo, bloccò il convoglio a bordo del quale viaggiava il nostro diplomatico. La banda chiese cinquanta mila dollari per ottenere il «lasciapassare». Soldi che non erano però nella disponibilità delle persone che erano a bordo delle jeep. Da qui il tentativo di rapimento finito tragicamente. Negli atti dell'indagine del procuratore aggiunto, Sergio Colaiocco, anche i verbali dei due indagati che hanno ricostruito quanto avvenuto a Goma.

«Ho dato tutto quello che avevo, 300-400 dollari e il mio telefonino - ha detto agli inquirenti Leone - Anche l'ambasciatore ha cominciato a togliersi le cose che aveva indosso, sicuramente il portafogli e forse l'orologio. Ho detto a Iacovacci di stare calmo e di non prendere la pistola, forse gliel'ha detto anche l'ambasciatore». Dal canto suo Rwagaza ha raccontato che i banditi «hanno intimato di consegnare i soldi. Volevano 50 mila dollari, altrimenti ci avrebbero portati nella foresta e poi avrebbero chiesto un riscatto… ho detto a Rocco Leone che dovevamo cooperare per evitare che fossimo sparati».

 

Per i magistrati di piazzale Clodio i dipendenti del Pam avrebbero anche «omesso, in violazione dei protocolli Onu, di informare cinque giorni prima del viaggio, la missione di pace Monusco che è preposta a fornire indicazioni specifiche in materia di sicurezza informando gli organizzatori della missione dei rischi connessi e fornendo indicazioni sulle cautele da adottare (come una scorta armata e veicoli corazzati)». Parallelamente all'indagine romana prosegue il procedimento ai danni degli autori dell'agguato. Il 6 luglio scorso i carabinieri del Ros sono volati nel Paese africano per effettuare una ulteriore attività istruttoria.

Gli investigatori hanno interrogato, grazie anche al lavoro svolto dalla Farnesina e dall'ambasciata italiana, i cinque che però, in base a quanto si apprende, non sono stati iscritti nel registro degli indagati a Roma. La banda tornerà a comparire domani davanti al tribunale militare a Kinshasa, la capitale della Repubblica democratica del Congo, che sta processando in contumacia anche un sesto imputato. Gli imputati sono sotto processo per omicidio, associazione a delinquere e «detenzione illegale di armi e munizioni da guerra», circostanza - quest'ultima - che giustifica la corte marziale.​

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