La FIPE: «Dovremmo proteggere le fasce a rischio
e puntare sul senso di responsabilità»

ph. Nicole Cavazzuti
di Nicole Cavazzuti
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Giovedì 30 Aprile 2020, 16:36 - Ultimo aggiornamento: 16:39
Dopo la conferenza stampa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte di domenica 26 aprile dedicata alla fase 2 di convivenza con il coronavirus, tra gli imprenditori del settore fuori casa serpeggiano la delusione e la preoccupazione per lo slittamento della data di apertura dei pubblici esercizi (ci si aspettava fosse il 18 maggio, invece è stata concessa solo dal primo giugno) e per i mancati chiarimenti sulle modalità di somministrazione e sulle misure di sicurezza da mettere in atto al momento di alzare le serrande. Non solo: spaventa anche la dichiarazione di Conte relativa alla volontà di mantenere il distanziamento sociale e il divieto di assembramento fino a quando non verrà trovato un vaccino o una cura. In questo scenario sono in molti a proporre strategie concrete per affrontare in modo diverso l'emergenza sanitaria e far ripartire le attività nel segno della sicurezza collettiva. Ne abbiamo parlato con Aldo Cursano, vice presidente della Federazione Italiana Pubblici Esercizi.

In un’intervista a Mixer il titolare della Pesa Pubblica di Milano sostiene che lo Stato, invece di obbligare tutti a mantenere a tempo indeterminato le misure di sicurezza imposte, potrebbe invece investire nella protezione delle categorie a rischio di vita per il coronavirus diffondendo loro le mascherine ffp2 o ffp3 sostenendo l’iniziativa con una campagna di comunicazione che informi le persone su come usare correttamente i dispositivi.
È una riflessione obiettiva e responsabile che prende atto di quello che ci raccontano tutti i giorni: i luoghi dei focolai, quali fasce ha colpito e l’analisi dei morti. Non ci sono dati scientifici a riprova che i focolai di covid-19 siano stati ristoranti, bar, gelaterie e negozi, mentre sappiamo che l’epidemia si è sviluppata soprattutto negli ospedali, nelle residenze per anziani, al pronto soccorso e in generale nelle strutture sanitarie. Oggi nessuno è davvero è protetto e viviamo tutti in un clima di terrore, anche quando non sarebbe necessario. Proteggere le persone più a rischio (la popolazione anziana e coloro che soffrono di quelle patologie che rendono mortale il covid-19) senza privare della libertà gli altri aiuterebbe a costruire modi e modalità di convivenza diversi con il coronavirus e a stemperare l’atmosfera di angoscia. Il che sarebbe utile anche sotto il punto di vista della ripresa dei consumi, perché la componente psicologica avrà un forte impatto sulla predisposizione alla spesa e alla condivisione del piacere. Ci deve guidare il senso di responsabilità è assurdo che una famiglia o una coppia debba cenare o bersi un drink a distanza. E sarebbe giusto che tra amici adulti ci fosse la possibilità di decidere se sedersi vicini o meno, senza mettere in discussione la distanza tra i tavoli. È una delle battaglie che stiamo portando avanti e in cui si inserirebbe la proposta di Vitale.

Lo chef stellato Marcello Trentini introdurrà la prenotazione a fasce orarie, per gestire 2 o 3 turni nella stessa serata sia nei ristoranti che nei bar, come già accade negli Stati Uniti.
Sarà inevitabile. Il distanziamento dei tavoli ridurrà almeno del 50%, se non del 70%, i posti a sedere di un locale. È chiaro che se i costi resteranno uguali falliremo tutti comunque. Diversamente, se ci sarà una rinegoziazione delle spese, fino a quando dovremo mantenere la distanza tra i tavoli comunque incasseremo circa il 30% rispetto al passato. Per sostenere l’impresa dovremo fare girare i tavoli.

La Regione Calabria voleva riaprire i bar…
Tra gli errori di questo governo c’è anche quello di trattare tutte le regioni allo stesso modo. Non ha senso, per esempio, che la Sardegna (dove il fenomeno covid-19 è marginale) subisca le medesime restrizioni della Lombardia. Credo che lo Stato dovrebbe delegare a ogni singola regione la decisione sulle modalità e le tempistiche delle riaperture.

La FIPE ha sottoscritto una petizione per chiedere al governo la riapertura dei pubblici esercizi il 18 maggio. Se molti hanno aderito, non sono mancati gli imprenditori che si rifiutano di aprire con le modalità prospettate in questi giorni.
Un buon imprenditore si deve rinnovare e adeguare alle necessità. Dell’esperienza al ristorante e al bar rimarrà il prodotto, mentre il luogo perderà di valore. La prima cosa da fare, ora che finalmente hanno liberalizzato l’asporto, è puntare sul take away per riavvicinare i consumatori che sono stati abituati ad acquistare tutto esclusivamente nel canale della gdo.
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