L'Aquila: cantieri di giorno, movida di notte. La strada in salita per la normalità

L'Aquila: cantieri di giorno, movida di notte. La strada in salita per la normalità
di Raffaella Troili
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Giovedì 4 Aprile 2019, 11:14 - Ultimo aggiornamento: 7 Aprile, 15:15

dal nostro inviato 
L'AQUILA Per vedere il cielo bisogna abituarsi alle gru e ai cavi che sembrano blindare la città. Meglio così, meglio che vivere solo di macerie. Meglio la polvere e i cantieri, l’energia strana che sprigionano. La sfida? Cosa diventeranno L’Aquila e il suo centro, teatro quest’ultimo di una doppia vita. Di giorno deserto, palazzi vuoti, zero servizi, lavori in corso. Di sera, specie dal giovedì in poi meta della movida universitaria e locale. Per questo pieno di pub e locali, nati per loro, i giovani, e per gli operai. C’è chi li benedice, c’è chi vorrebbe tornare alla normalità. L’avvocato Marina Ranieri è da poco rientrata nella sua casa in centro, dove poi era rimasta ma pagando una casa in affitto. Troppo doloroso restare, troppo doloroso andar via.

 



«Qui ormai si beve e basta, certe sere non si cammina per quanti ragazzi si riversano qui, c’è solo ristorazione, per un paio di calze devi prendere la macchina e andare al centro commerciale». In realtà per tutto. Spariti alimentari, mercerie, un fruttivendolo, tutti quei negozi di vicinato che facevano dell’Aquila una città a misura d’uomo e pariteticamente un luogo dello struscio. In centro si contano un paio di banche, l’Inps, la nuova Prefettura. La signora Marina nonostante tutto alla fine ci crede: «Che ci sia più polvere possibile, ma almeno finiamo».

Anche prima l’Aquila di notte era movimentata. Forse ora non passa inosservata perché i pochi residenti rientrati sono quasi estranei al contesto di paese dei balocchi notturno. A piazzetta Chiarino, via Garibaldi, alla fontana luminosa i giovani si radunano. Bevono, fumano, ridono, dai locali - nell’ultimo anno un boom di ristoranti e bar - esce la musica «il centro è a misura nostra - dicono - un paio di mesi fa ha aperto anche un negozio di trucchi e un paio di abbigliamento nel 2015 quando siamo arrivate era tutto chiuso, non si poteva passare in centro per le impalcature e l’odore». Le loro voci riecheggiano in cielo quando fa buio, oltre le gru, i cantieri, le paure del giorno. Quando è tutto un viavai di operai, risaltano i cartelli di affittasi/vendesi. In questi giorni l’Aquila sta accelerando, c’è il decennale, arriva il premier. Qualcuno dice che hanno tolto le transenne ai palazzi per l’occasione, «ma mica sono pronti, almeno dentro».

Sono vuoti, è passato troppo tempo e la gente si è organizzata altrove, si ritrova con delle case antisismiche con il nulla intorno: a mancare sono i servizi, gli uffici. Eppure i pionieri, gli eroi ci sono. Ha riaperto il forno, un paio di bar, resiste un negozio di ceramiche. «I turisti ci aiutano». La città era - è - in mano agli operai, che fanno la pausa pranzo, è aumentato l’uso delle auto, la gente è stata costretta a spostamenti che non conosceva. «Ma si sente la necessità di tornare alla normalità - riflette il tabaccaio Adelmo Giardini - un piccolo supermercato sarebbe necessario, le Poste che stavano in fondo a piazza Duomo sono vicino al cimitero. Altrimenti perché la gente dovrebbe tornare nelle case ristrutturate non avendo servizi? Nella via dove abito qui non c’è la luce, siamo 3 inquilini in tutto il palazzo, per permettere a mia figlia Giulia la sera di ritornare a casa in sicurezza ho messo di mia iniziativa una luce che dall’alto illumina il portone».

La ricostruzione è partita, ma da pochi anni realmente. La normalità è lontana. In centro si creano eventi culturali ma l’economia è lontana da qui, gli aquilani vanno nel centro commerciale o nei paesi intorno. Chi è tornato in centro si sente un pioniere, ecco Emiliana Di Stefano, la prima a scappare quella notte maledetta «ho preso la macchina ho messo dentro le bambine e sono andata via» e la prima a tornare, «mi sentivo un po’ sola all’inizio, stavo in un palazzo di uffici presto dichiarato agibile davanti, purtroppo, al Convitto». Si trova nella boutique di Gabriella Iani che ricorda «prima ero in via Verdi poi ho riaperto in un centro commerciale, appena ho potuto sono subito tornata in centro. Il 6 gennaio scorso, non dove stavo prima, pochi locali sono pronti davvero».

L’avvocato Alessandra Lopardi ascolta emozionata. « L’Aquila? Dà più lei a noi di quanto noi diamo a lei.
Sono rientrata in centro a luglio 2016 non ho mai smesso di esercitare qui. Dovevamo rimanere, la città è in fermento, c’è un’energia buona, siamo pochissimi, ma uniti. Per me vivere e lavorare qui rientra in un processo di rinascita». Piccoli eroi che resistono «i commercianti vivono il sabato e la domenica, fanno incassi di 20/30 euro - Celso Cioni, direttore Confcommercio regionale, che snocciola appassionato dati impressionanti: «Il 7 aprile 2009 nella zona rossa erano registrate 1000 imprese alla Camera di Commercio: insomma ogni metro c’era una bottega. Dal terremoto è scattata la logica del si salvi chi può, non c’è stato un piano straordinario per il commercio, il nucleo storico si è perso in un perimetro di 30 chilometri quadrati, c’era il bisogno di riaprire anche lontano, anche nei capannoni industriali”. Secondo dati della Confcommercio nazionale L’Aquila è la città con il più alto indice di declino commerciale: 42,9% (media nazionale del 26,7). «Siamo ancora in un non luogo, dobbiamo recuperarlo, questo centro è l’identità della città». La zona rossa non c’è più, mancano solo gli aquilani. A cui hanno trapiantato il cuore altrove.

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