Mancano infermieri in pediatria, il rischio di morte per i bimbi aumenta del 25%

Mancano infermieri in pediatria, il richio di morte per i bimbi aumenta del 25%
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Martedì 18 Giugno 2019, 10:22 - Ultimo aggiornamento: 17:36

Secondo gli standard di sicurezza internazionali, ogni infermiere dovrebbe seguire 4 pazienti, tuttavia la media negli ospedali pediatrici italiani è di un infermiere per 6,6 pazienti: 2,6 pazienti in più del previsto. Secondo la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), «per ogni paziente extra il rischio di mortalità a 30 giorni aumenta del 7%. Con due pazienti e mezzo in più arriva al 17-18%. Sommando questi dati alle attività infermieristiche mancate, che vengono calcolare come pari al 5%, si aggiunge un ulteriore 8% di rischio di mortalità che porta a un numero allarmante: la previsione del rischio arriva infatti al 25-26%». 

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Le stime emergono dal primo studio mai realizzato sull'argomento, presentato oggi in Senato, e realizzato da 12 aziende ospedaliere pediatriche aderenti all'Aopi, l'Associazione degli Ospedali pediatrici Italiani che aderisce alla Fiaso, la Federazione delle aziende sanitarie pubbliche. «Se in Italia queste proiezioni non si sono tradotte in realtà è perchè il management ospedaliero fa scelte tampone con meccanismi di compensazione: gli infermieri fanno turni più lunghi, continui straordinari, saltano i riposi e pure le ferie. Ma tutto questo si ritorce contro il personale che presenta livelli di stress altissimi», spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi. La ricerca realizzata dal Gruppo di studio italiano RN4CAST IT-Pedei infatti indica che il 32% degli infermieri è finito nell'area del 'burnout', la sindrome da esaurimento emozionale. Non solo: il 25% degli infermieri vorrebbe lasciare perchè «il carico di lavoro è troppo pesante e non si riesce a seguire i pazienti come si dovrebbe».

Il rapporto pazienti-infermiere dovrebbe essere di 3 o 4 a 1 nelle aree chirurgica e medica, di 1 o persino 0,5 per le aree critiche come terapie intensive e rianimazioni. Numeri lontani dalla realtà rilevata dall'indagine, che ha calcolato un rapporto di 5,93 per la chirurgia, 5,7 per quella medica e 3,55 per l'area critica. La carenza di personale in genere finisce anche per dover impegnare i già pochi infermieri in attività che infermieristiche non sono: come eseguire richieste di reperimento materiali e dispositivi, compilare moduli per servizi non infermieristici, svolgere attività burocratiche o più banalmente rispondere al telefono. Nonostante tutto, spiega il rapporto, si ritiene soddisfatto del proprio lavoro il 73,5% degli infermieri dell'area chirurgica e rispettivamente il 74 e il 77,1% di quelle medica e critica. Le cose però cambiano per i professionisti con più anzianità alle spalle (tra i 21 e i 30 anni di servizio), dove nell'area chirurgica a pensare di lasciare è il 42% contro medie del 31,8 e del 30,4% per l'area medica e quella critica.

«I risultati dell'indagine mostrano che senza il contributo fondamentale dei professionisti e di un management all'altezza il nostro Ssn sarebbe già naufragato da un pezzo. Abbiamo fatto un miracolo», dice il presidente di Fiaso, Francesco Ripa di Meana. E Mangiacavalli rilancia: «Questa situazione non può durare a lungo. Priorità dell'agenda di governo deve essere la salute del Ssn, il capitale umano su cui si basa e che va salvaguardato».

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