Inchiesta sulla zona rossa, il documento dell'ex dg del Ministero all'Oms: «Il piano pandemico è aggiornato»

Inchiesta sulla zona rossa, il documento dell'ex dg del Ministero all'Oms: «Il piano pandemico è aggiornato»
2 Minuti di Lettura
Lunedì 22 Febbraio 2021, 22:27

L’Italia aveva un sistema di sorveglianza «regolarmente valutato e aggiornato» e «piani di preparazione e risposta alle emergenze sanitarie multisettoriali regolarmente testati e aggiornati», quando un anno fa in Lombardia è scoppiata la prima ondata di Covid-19 con l’epicentro tra Codogno, gli altri comuni del Lodigiano, Cremona e Crema e Bergamo e provincia, con Alzano Lombardo e Nembro. Lo si legge nel Rapporto annuale di autovalutazione degli Stati membri inviato il 4 febbraio dell’anno scorso all’Oms da Claudio D’Amario, allora direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute.

PIANO PANDEMICO

Il documento, con cui ciascuna Nazione certifica le sue capacità di risposta a minacce per la salute pubblica (batteriologiche, chimiche, radioattive e altro), è stato consegnato qualche giorno fa ai pm di Bergamo che indagano sulla gestione del corovanirus dal pool di legali, guidati dall’avvocato Consuelo Locati, che assistono i familiari delle vittime dell’epidemia. E che hanno accertato già, con documenti e testimonianze, che il piano pandemico era fermo al 2006 e che non fu nemmeno applicato nonostante le indicazioni dell’Oms.

Sul punto D’Amario e gli altri dirigenti del Ministero ascoltati a gennaio scorso avrebbero in sostanza spiegato che, poiché non si trattava di influenza ma di un virus proveniente dalla Cina di cui poco si sapeva, si è «navigato a vista». Oltre al report trasmesso dall’ex dg all’Organizzazione mondiale della sanità, agli atti dell’indagine c’è anche una mail con data 28 febbraio 2020 con cui l’epidemiologo matematico della Fondazione Bruno Kessler di Trento, Stefano Merler, comunicava ai dirigenti di Areu Lombardia «le prime stime» dell’R0 - il numero medio di persone che ogni malato può contagiare - nei «tre focolai principali» ovvero Codogno, Cremona e Bergamo. In base ai calcoli, l’indice del comune della Bassa era 1.84, mentre quelli delle due città erano rispettivamente 1.18 e 1.80, quanto basta per far ritenere a inquirenti e investigatori che già allora avrebbe dovuto essere istituita, dopo quella nel lodigiano, una zona rossa anche nella bergamasca.

© RIPRODUZIONE RISERVATA